Ai miei pochi ma buonissimi ingredienti... vecchi e nuovi.
Le relazioni posso essere un (triste) brodo di dado o delle deliziose zuppe. Non ci sono ricettacoli segreti: è il procedimento, la bontà degli ingrdienti e la cottura che ne determina il sapore. Se io ci metto 6 ortaggi bio a chilometro zero e tu ci metti il dado e basta... beh, si sentirà. Se tu stai lì a fare la pasta fatta in casa, la tiri, fai i mini spaghettini e lavi e tagli le verdure e io ci metto solo l'acqua, perché mi aspetto che tu per me faccia tutto il resto... beh, probabilmente sarà buona comunque, ma per te avrà un sapore amaro in ogni caso. E se la facciamo e c'è troppo sale perché l'abbiamo messo entrambi, ma uno dei due dice che è salata solo per colpa dell'altro... eh, lì farà schifo tutto, non solo la minestra.
Ci sono rapporti su cui non vale la pena di investire, ma quando lo capisci, hai già sprecato fin troppe energie.
Ci sono rapporti per cui spendi tante parole, ti sforzi di formare lunghi pensieri e ragionamenti, e tutto quello che ricevi è un “Okay”, se sei fortunato.
Ci sono rapporti in cui ti apri, parli a lungo di te, di ciò che ti sta succedendo, in cui senti ascoltato, e poi capisci che hai parlato al nulla… Perché ascoltare non equivale a sentire in silenzio.
Ci sono rapporti in cui la comunicazione fallisce e le manipolazioni di fatti e parole si sprecano.
Ci sono rapporti in cui, per quanto ci provi, sbatti contro un muro.
E poi ci sono i rapporti che ti colorano: quelli in cui ridi anche nei giorni più pesanti.
Quei rapporti in cui parli per minuti lunghi ore delle difficoltà, delle insoddisfazioni, delle frustrazioni, della fatica… Sono quelli i rapporti che ti fanno dormire la notte: perché ti chiedono sempre come stai, come va, se hai superato l’ostacolo. E ve lo potete dire a vicenda che va tutto male o che sei proprio stanco. Lo puoi dire perché sai che ti ascoltano e, anche quando fingerai di non aver quel problema, loro se ne ricorderanno… E gioiranno quando gli dirai “forse qualcosa cambia” e ti incoraggeranno a fare, lottare, pensare che quello che stai facendo oggi è per il futuro. Ma soprattutto, saranno quei rapporti in cui tu farai lo stesso per loro: ascolterai, sosterrai, incoraggerai, ricorderai e chiederai come va quella cosa, quella di cui non ti parlerà da qualche giorno, ma che sai li turbava.
Sono quei rapporti per cui ti senti 3 volte al giorno in modo telegrafico (perché il tempo per lunghe pippe mentali davanti a un bicchiere di vino non c'è) per parlare sempre della stessa cosa, dello stesso dubbio, degli stessi problemi di tutti i giorni e va comunque bene: sono quelli che se non sai cosa fare, ti spronano a fare proprio la cosa che meno vorresti fare, perché è quella che fa paura e è anche la più giusta (“Portalo, ‘sto CV!”, “Parla con i superiori, è tuo diritto!”, “Provaci, al massimo va male!”).
Sono quelli che sanno che il mondo del lavoro (e non solo) richiede umiltà, ma che c’è un punto in cui tu hai bisogno di aprire la bocca e dire la tua… E sono quelli i rapporti che ti ricordano come farlo.
Sono rapporti fatti di reciprocità e cuore, in cui sai di esserti dato a chi avrà cura di te esattamente quanto tu ne avrai di loro.
Ci sono tanti pezzi in un puzzle che forma un rapporto: sono tasselli diversi e ognuno contribuisce con pezzetti propri, unici e servono tutti per farne qualcosa. I rapporti funzionano solo quando si esce dalla propria minuscola prospettiva e si è disposti a sentire l’altro, non solo ad aspettarsi che l’altro senta e veda con noi. E se trovi quelle persone lì, quelle che sanno alzarsi dalla loro seggiolina in cui loro sono al centro e sanno sedersi in braccio a te, per vedere com’è la vista dalla tua posizione, conviene tenersele strette per la vita. Ma non solo. Serve ricordarsi che bisogna metterci lo stesso impegno che ci stanno mettendo loro; serve ricordarci che dobbiamo alzarci anche noi dalla nostra seggiola… Che dobbiamo avere cura di loro, non solo aspettarci che loro ne abbiano di noi.
Sono quelli i rapporti che funzionano anche dopo che non ti vedi e non ti senti per due mesi, perché da adulti è impensabile trovare ogni giorno lo spazio per l’altro. Funzionano anche quando l’altro non era lì a farti da balia in un progetto o avvenimento importante, perché la vita non segue il nostro ritmo, e a volte anche l’altro ha qualcosa di importante per sé di cui occuparsi (es: qualche sciocca e patologica partita di basket, che però pare importante come la nascita di un figlio, e allora pace e bene).
Ci sono, poi, quelli per cui ti accorgi che hai sbagliato tu e, santa polenta, quello è il pezzo più importante della maturazione: perché riconoscere il proprio contributo nel fallimento di un rapporto è l’unica cosa che ci permette di aggiustarlo. Chiederci cosa possiamo fare noi, dove abbiamo sbagliato noi, senza pensare che sia sempre colpa dell’altro, senza credere che siamo sempre noi le vittime dell’ingiustizia altrui: i rapporti che durano decenni sono quelli in cui si sbaglia, si litiga, si discute, si parla e si scopre come ricominciare, insieme, partendo da ciò che NOI possiamo fare per ripartire. È l'autoanalisi e l'autocritica che salva i rapporti: ammettere che a volte la merda siamo noi e che non siamo per forza i poveri afflitti da un destino popolato solo da gente crudele. A volte gli insensibili possiamo esserlo anche noi: ma, nei rapporti che valgono, riusciamo a vederlo, a accettarlo e a superarlo insieme.
Quelli lì, quelli in cui non va sempre tutto bene, sono i rapporti migliori… quelli che sono destinati a durare per sempre. Perché cambiano, crescono, imparano qualcosa, ci insegnano qualcosa di noi.
Sono quelli in cui il tuo dolore non è meno importante o più importante di quello dell’altro, ma è un aiuto per l’altro a superare il proprio: l’ho imparato qualche mese fa da una delle mie più care amiche.
L’aneddoto: a Ottobre del 2016 la mia cagnolina di 16 anni è morta. Era qualche settimana che le cose andavano male e quando è successo per me è stato un dolore grande come ogni altro lutto: perché con lei ero cresciuta, perché era come un membro della famiglia, perché era “la mia Isotta”. Quella sera, la mia migliore amica, che mi è stata accanto ogni istante della giornata, mi ha telefonato e mi ha detto che la sua cara nonna era in ospedale. La conoscevo da 20 anni. La risposta naturale, per me, è stata mettere da parte le mie lacrime, perché non era pensabile paragonare il mio dispiacere con quello della mia amica. Me lo ricordo come se fosse ieri:
“Stefy, no. È un cane, è vero, ma non ha un valore inferiore nel cuore.”
“Ma figurati! Ci mancherebbe altro. È diverso.”
“Non lo è… non devi sentirti come se dovessi mettere da parte le tue lacrime per questo.”
Siamo state in contatto quasi tutta la notte, a parlare. La mattina successiva la mia amica mi ha chiesto di venire a casa mia per non stare sola: è arrivata, eravamo tutte e due orribili, con gli occhi gonfi e le lacrime cristallizzate negli occhi. Ci siamo abbracciate e abbiamo parlato per un’ora: quando la mia amica si sentiva meglio e era pronta ad andare, suo padre ha chiamato per dirci che la nonna se n’era andata. L’ho abbracciata per 3 minuti e quando stavo per sciogliere l’abbraccio, lei mi ha chiesto di non farlo. Poi mi ha sussurrato: “È con la Isotta. Io lo so. E questa cosa mi rasserena in un modo che non so spiegare.”
Ce le siamo immaginate per giorni, a mangiare arrosto e a farsi compagnia: era solo un cane, ma quella mia perdita ha aiutato una delle persone che amo più al mondo a soffrire meno nel suo dolore e insieme è stato più facile.
Ogni giorno è così: sia rabbia, frustrazione, preoccupazione, alla fine riusciamo sempre a ridere e sorridere con le persone che valgono ogni sforzo.
Ci sono rapporti e persone per cui vale la pena di piangere e arrabbiarsi: sono quelle che si impegnano quanto noi di uscire dalla propria microscopica visione di sé al centro di tutto e per cui anche noi siamo disposte a farlo. Sono quelle per cui molliamo tutto, anche il sonno, quando hanno bisogno di noi e sono quelle che farebbero lo stesso per noi.
Sono quelle con cui si trova sempre un sorriso, con cui - anche se si sbaglia - alla fine del confronto se ne esce meglio, entrambi. Con cui il senso di colpa non esiste, perché c’è la parola, c’è lo scambio. Con cui non c’è la colpevolizzazione: si sbaglia insieme, si aggiusta insieme.
Sono quei rapporti lì che ci servono a affrontare ogni giorno, anche quando le cose che vanno bene sono molto meno di quelle che vanno male.
Sono quelle persone a cui pensi una mattina a casa libera dal lavoro e per cui ti trovi a scrivere un post dopo secoli.
E non è il tempo che rende quei rapporti straordinari: sono le persone, perché quello che ho detto e penso vale tanto per le persone che conosco da 30 anni quanto per alcune che sono parte di me da pochi anni. Sono quelle persone che riescono sempre a mettermi un sorriso sulle labbra… con cui mi scambio messaggi vocali mentre ceno dai miei, perché se no poi viene tardi e crolliamo come pere sul divano. Sono le personalità e gli incastri che rendono i rapporti la cosa buona anche delle giornate andate male e ci salvano da un futuro da gettare (forse).
L'importante è ricordarsi che i rapporti belli sono quelli dove si ride insieme, anche quando l'unica cosa che vorresti fare è prendere a testare la porta (o l'altro).
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