Buondì mondo virtuale.
Che poi, a guardare fuori dalla finestra, tutto questo buondì non lo è.
A guardare dentro- in direzione delle pile di libri da studiare - le cose non migliorano; quindi uno si chiede perché diavolo si è alzato, giusto?
Ci si alza perché ci tocca, è inutile che ci prendiamo in giro; io, personalmente, mi sono alzata per la mia dipendenza da caffeina in primis. Ora che ho bevuto il mio bel tazzone, tornerei a letto.
Eppure dicono che non si può.
Dovrei aver già imbracciato i libri, e invece? Invece mi sono trovata a pensare a due cose specifiche, inerenti la scrittura: quando scirvo (o si scrive)? E come si ringrazia?
Per ora partirò con logorrea riguardo alla prima domanda, perché la seconda è più complessa.
Io non mi considero una "autrice" neppure col binocolo: affiancare a quella parola l'aggettivo "amatoriale" non cambia le cose. Io non sono una "autrice", io sono una che si è immaginata qualche storiella e che, non avendo nessuno a cui farla scrivere, l'ha messa nero su bianco da sola.
Vi dirò un segreto. C'è una cosa di cui vado fiera in TuttoTondo: i personaggi. Quando dico che c'ho messo l'anima in quei disgraziati, lo dico perché è vero: la prima versione della mia storia presentava più che altri dei soggetti piatti, privi di sfumature, che avrebbero potuto essere in cento, mille storie diverse ed essere comunque uguali a tanti altri già visti e letti.
Stavolta di Med, Alex, Bet, Jules e tutto il resto sono orgogliosa: volevo che fossero imperfetti, a volte frustranti e altre persino incoerenti. Non per farli odiare dal lettore, ma semplicemente perché nel mondo reale la gente passa fasi simili: idealmente vorremmo essere in un modo, ma siamo tutti pieni di contraddizioni e di imperfezioni, giusto?
Ecco, io ho davvero messo l'anima nell'elaborazione delle personalità di Med e Alex perché avevo bisogno che fossero il meno fantascientifici possibile. Li ho pensati come persone vere, e le persone vere sanno essere testarde, recidive e hanno bisogno di toccare il loro fondo per risalire o per trovare il loro modo di essere.
Detto ciò, orgoglio per i protagonisti a parte, non ho mai avuto la pretesa di avere doti particolari in ambito narrativo: personalmente vedere "profilo autore" mi fa un po' ridere. Sarebbe meglio "cantastorie", forse. La narrazione mi manda in crisi e mi sono resa conto che, dopo mesi di stop, è ancora peggio; sì, perché in treno ho letto mille libri e ogni volta pensavo che io non avevo equilibrio nella narrazione.
I dialoghi sono la mia parte preferita, non lo negherò mai: da leggere e da scrivere. Fosse per me TuttoTondo sarebbe solo dialoghi. Oppure farei narrare il resto a chi è capace e io scriverei i dialoghi. Ognuno cerca i suoi punti di forza... E la mia debolezza sono le descrizioni.
Quando scrivi stai lì a chiederti se ci sono troppi particolari o troppo pochi, se la descrizione è troppo lunga o troppo breve, se ha interrotto il ritmo del dialogo, se hai dato la giusta idea spaziale... Cose così, per intenderci. Se sei come me, tendenzialmente pensi sempre che non vada: poi, fortunatamente, ho una Beta o non aggiornerei mai.
Col nuovo capitolo mi sono accorta che il problema si è amplificato: ho paura che manchi equilibrio, ritmo, sostanza. Il Rischio di cancellare tutto e ricominciare per la terza volta c'è stato, ma prima credo che lo metterò sotto le grinfie della Beta per un parere esterno: non posso usare l'insicurezza come arma di distruzione dei capitoli.
Ora, veniamo al succo: quando scrivere? Non so voi ma io ho solo due momenti veramente fertili:
il mattino appena mi sveglio (se non attacco subito a scrivere, non funziona) e la sera.
Sono due momenti infami perché la sera la stanchezza spesso ha la meglio... Oppure in TV c'è qualche cosa da guardare. E, beh, la mattina bisognerebbe svolgere i propri doveri o comunque essere attivi, non certo stare in pigiama a battere i ditoni sulla tastiera, no?
Poi ci sono quei momenti in cui parti come un treno: scrivi righe su righe, hai perfettamente in mente la scena, ti senti immerso nell'universo della tua storia e... E devi andare in posta. O prendere il treno. O farti la doccia perché alle 11 hai un appuntamento.
Ecco, quelli sono momenti più maledetti di sempre; perché? Perché una volta rotta la magia, di cancella tutto: in quello stato di perfetta sintonia con la storia e la scena sarà difficilissimo tornare. Senza contare la Signora Contessa Ispirazione. Quella se ne frega degli appuntamenti: viene quando vuole lei. Una volta sparita tu stai lì, scrivi, rileggi e pensi che quello che hai scritto fa veramente cacare. Scusate il francesismo.
Giusto per restare in tema, io ora devo andare, quindi questa inutile riflessione deve giungere al termine: in realtà l'avevo iniziata perché contavo di finire stamattina o stasera di sistemare l'aggiornamento. Concretamente non vorrei fare promesse che poi magari non mantengo... Quindi incrociate le dita con me e tenete una mente aperta.
Vi lascio con una domandina, compagni di scribacchiatura (amatoriale e non): i problemi sopraelencati affliggono anche voi? Avete soluzioni? Come vivete i vostri momenti di scrittura? E quando non avete tempo per loro? Come fate?
venerdì 24 gennaio 2014
giovedì 23 gennaio 2014
L'imbarazzante piacere del TuttoTondo (Capitolo 5 e 6)
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia
L. Parliamo un po' di L e di come è finito col divenire anche solo vagamente rilevante nella mia vita.
In tutta sincerità non lo so bene neppure io: un bel giorno me l'hanno presentato e, in qualche maniera, lui ha iniziato a provarci. Non vi dirò sciocchezze: pensavo scherzasse finché non mi ha baciata. Poi ha proseguito nella sua arte del tampinamento perenne ed io, nella mia palla di insicurezza, ho lentamente cominciato a sentirmi bene e importante; più lui mi cercava, più io vedevo cose positive in questo ragazzo dagli occhi nocciola, l'aspetto non propriamente affascinante ma, senza dubbio, un potente carisma che catalizza un po' l'attenzione di tutti, vuoi perché è a tratti divertente.
Sta di fatto che, un bel giorno, lui aveva smesso di essere quello che mi cercava ed io ero diventata quella che palpitava all'idea di uscire a cena con lui o che restava in attesa della sua proposta di passare per un film da me: ha giocato bene le sue carte, ha saputo manipolare con arte la mia insicurezza finché io non sono diventata quella che pendeva dalle sue labbra e che elemosinava la sua attenzione.
Dentro di me ho sempre saputo di non avere l'esclusiva: ma a me non importava. Mi interessava sapere che - gira che ti rigira - alla fine lui tornava da me.
Nel processo di sedimentazione di L nella mia esistenza, insomma, ho disintegrato ogni forma di rispetto per me stessa e di dignità personale. Non ne vado fiera ma non posso neppure negare ciò che ho fatto e che ancora, in qualche misura, trascino avanti.
Diciamo che sono stati fatti grandi progressi negli ultimi mesi: ora sono in grado di ammettere che lui è uno stronzo ripieno, con la curiosità intellettuale di un frullatore e la sensibilità di un caterpillar. Sul fatto che sia brutto non commento: deve essere il classico caso in cui il carisma si riflette sul lato estetico e lo fa risplendere. Io ora sono ancora vittima del potere originario di questa cosa e, benché sappia che non sia propriamente bello, quando mi bacia l'ormone parte in automatico.
E poi neppure io sono una gnocca, ragion per cui non miro troppo in alto. Forse.
Sta di fatto che l'idea che io non possa aspirare ad altro o che mi debba tenere stretto L perché rischio che nessun altro mi si voglia fare, balena nella mia mente più spesso di quanto mi piaccia ammettere: sì, lo so, è mortificante. Ma ve l'ho detto che con L ho ridotto in poltiglia la mia stessa dignità.
Se la vedete in giro e riuscite a ricostruirla, mi trovate sulla Pagine Bianche.
Ho preso 25 in Botanica. Sono stato bravo, vero? Tu non l'hai ancora dato, giusto? Adesso sono più avanti di te ehehehe.
Leggo il suo sms con disinteresse e con un briciolo di umiliazione: sono passate due settimane dalla sera in cui l'ho aiutato a preparare Farmacologia (che, per la cronaca, ha passato con un pingue 21) e, dopo essersi pavoneggiato per qualche ora mentre prendevamo un caffè al Bar dell'Università insieme ad alcuni compagni di corso, è sparito dalla circolazione per ricomparire stamattina con questo insopportabile messaggio.
Se ve lo state chiedendo, sì, L è la classica persona che si fa grande delle sconfitte altrui, invece che delle proprie vittorie. Ed è di un'arroganza al limite del legale.
Imbarazzata e pure un po' incazzata cancello il messaggio senza degnarlo di una risposta e lascio cadere il cellulare nella mia borsa, raccogliendo un paio di libri da terra e infilandomi un maglione, prima di scaraventarmi fuori dalla mia stanza ed essere salutata dalla schiena di Alex che sta armeggiando in cucina.
Il mio molesto coinquilino si ostina a materializzarsi in casa quando ci sono io e ancora non sono riuscita a convincerlo a cercarsi una nuova collocazione immobiliare: sostiene che il mio morbido culo abbia poteri paranormali che lo hanno spiritualmente incatenato a questo appartamento e al suddetto sedere.
Nelle due settimane di condivisione dello spazio vitale, io ho perseverato nella mia crociata di rendergli impossibile la vita in appartamento e di manifestargli tutto il mio fastidio nei suoi confronti; lui, da parte sua, ha continuato a divertirsi un sacco lanciandomi frecciatine, sfottendomi e cercando di interagire con me. Sospetto che il mio approccio lo stimoli e lo incoraggi: forse dovrei cambiare modus operandi ma il baldo giovine mi sta eccessivamente sui cosiddetti ed io non riesco a trattenermi.
Manco totalmente di autocontrollo per nascita. Apparentemente non vi è rimedio: Jules dice che neppure la psicologia azzarderebbe un passo nella mia direzione. Sostiene che Hannibal Lecter sarebbe un caso con maggiori speranze di me.
“ Ah! Sono in ritardissimo!” strillo, correndo verso la cucina e Alex si volta a guardarmi curioso. Come sempre.
“ In ritardo per cosa?” risponde, versandosi il caffè.
“ Devo andare in segreteria a consegnare delle carte. E non ho sentito la sveglia. Non che questi siano affari tuoi, comunque” ribatto mentre estraggo uno yogurt dal frigorifero e zompetto da una parte all'altra della cucina, raccogliendo il necessario per la mia colazione take away.
“ Ovviamente” dice lui sottovoce.
Ignorandolo, mi volto e osservo la tazza che si sta avvicinando alle labbra.
“ E’ caffè quello?” chiedo sospettosa.
“ No, è sangue di pipistrello! Certo che è caffè!” sorride alzandolo orgoglioso e sul mio viso prende vita un'espressione contrariata.
“ Mi sembrava di averti detto di non usare le mie cose” puntualizzo facendo qualche passo nella sua direzione.
“ Magari l’ho comprato anche io, no?” continua lui.
“ Ne dubito” concludo, togliendogli la tazza fumante dalle mani.
“ Ehi!” si lamenta lui, avendo apparentemente qualcosa da ridire sul mio comportamento mattutino: io decido di non curarmi delle sue proteste e faccio qualche passo lontano dal suo corpo.
“ Tanto è mio, e poi sono in ritardo. Tu te lo puoi rifare” rispondo soddisfatta, accingendomi a sorseggiare il mio carburante alla caffeina.
“ Tu quello non lo puoi bere!” mi ferma lui e appoggia una mano sul mio avambraccio per impedirmi di portare la tazza alla bocca.
“ Perché no?” chiedo guardando nel caffè confusa.
“ Perché c’è lo zucchero.”
Io lo osservo disorientata e resto in silenzio nell'attesa che si decida a elaborare il suo insignificante pensiero.
“ Credevo avessimo stabilito che le calorie sono veleno per te. Il tuo sedere ha già fenomenali poteri esoterici così com'è. Se cresce ancora, conquisterà la Terra.”
Oh, l'idiota si sente in vena di battute questa mattina.
“ Ringrazia solo che il mio didietro non abbia una mente propria o a quest'ora ti avrebbe già denunciato per molestie e stalking” ribatto sorseggiando la mia fonte di energia.
“ Se avesse una mente sua si sarebbe sbarazzato di te e della tua acidità e saremmo accoccolati a contemplare la sua delizia in questo momento. Io e Lui. Tu sei di troppo.” ridacchia lui preparando una seconda moka.
“ Tutto ciò mi rincuora. Quindi non mi potrai ritenere responsabile quando Lui si siederà su di te e progetterà di farti fuori. Chiederò a Bet se questa difesa potrà mai reggere in tribunale. Ora, se non ti dispiace, non ho altro tempo da sprecare con te” taglio corto, girando sui tacchi e prendendo il cappotto.
“ Puoi fare una cosa per me, Alex?” gli chiedo con voce melliflua.
“ Sarebbe?” domanda curioso.
“ Non farti trovare quando torno. Sparisci per sempre. Questo porterebbe il voto medio di questa giornata a dieci!” Sorrido, appoggio la tazza vuota nella lavastoviglie e mi dirigo verso l'uscita.
“ Sei adorabile già di prima mattina, eh? Comunque no, non posso fare quello che mi chiedi.” Ricambia il mio sorriso e addenta una fetta di pane e marmellata.
"Sono certa che il mio Signor Morbido Sedere scoprirà il modo di sbarazzarsi di te, allora" minaccio poi, aprendo la porta.
"Oppure io e Lui scopriremo come liberarci di te e potremo vivere serenamente la nostra inevitabile passione." arriva prontamente la sua risposta ed io posso solo sospirare e dichiararmi sconfitta per questo round.
Non ho proprio tempo di discutere con questo pomposo imbecille.
Incamminandomi verso la fermata del tram che mi condurrà in università - meglio nota come l'Inferno -, immersa nell'aria pungente e nel frastuono del traffico della città, mi impongo di non pensare. E mi rendo conto che è una cosa che faccio spesso da un po’ di tempo a questa parte. Pensare mi fa male. Mi annebbia la vista. Mi sento debole e in preda agli eventi ogni volta che lo faccio. L’unico modo per non cancellare il mio sorriso è impedire alla mia mente di riflettere su quello che mi succede. Perché ogni volta che mi fermo e osservo dove sono e valuto i perché di questi miei ultimi mesi, vengo attanagliata da un'angoscia che non so controllare. Ho come l'impressione di essere schiacciata ogni secondo dalle mie scelte, di essere costretta a valutare cosa e quando ho sbagliato, a decidere come rimediare a certi errori: e forse non sono pronta a farlo.
Forse non sono ancora in grado di alzarmi in piedi e ammettere che ci sono tante, troppe cose che devo cambiare. O, molto più semplicemente, non so come voglio cambiarle.
Mentre cammino con passo spedito respiro a pieni polmoni e deglutisco le lacrime che, troppo spesso, accompagnano questi pensieri. Io odio piangere: non perché sia segno di qualche tipo di debolezza ma perché in me, la maggior parte delle volte, sono segno di rabbia, non di tristezza.
Quando sono stizzita, io piango: e più piango più mi arrabbio. E sembra che io non riesca a fermare questo circolo. Le lacrime sembrano essere uno dei pochi modi in cui riesco a sbarazzarmi dell'ira e, sfortunatamente, la maggior parte delle persone sembra non voler capire che funzione abbiano per me: in genere mi consolano, mi compatiscono oppure mi spronano a non disperarmi. Insomma, le lacrime mi fanno apparire anche più patetica di quello che sono: sminuiscono il mio livore e l'impeto della mia forza emotiva. La gente associa sempre le lacrime alla debolezza e, forse, visto il pasticcio emozionale che si impasta dentro di me ultimamente, non ha poi tutti i torti.
Il mio insopportabile flusso di coscienza viene, per mia grazia, interrotto da una voce che urla il mio nome dall'altra parte della strada: mi blocco e, strizzando gli occhi, metto a fuoco la snella figura che si sbraccia sul marciapiede opposto al mio, nel tentativo di attirare la mia attenzione.
E sorrido. È la mia adorabile e saccente cugina Terry.
Teresa, per gli amici Terry, è fondamentalmente la sorella che non ho mai avuto. Sono cresciuta ogni giorno della mia vita con lei. In qualsiasi cosa io faccia, in qualunque momento della mia esistenza, Terry c'era.
Nel corso degli anni siamo cambiate tanto tutte e due, la vita si è messa in mezzo e ha separato i nostri sentieri, ma la connessione emozionale che esiste tra noi, non è qualcosa che spazio e tempo possono rompere.
Terry è una ragazza di successo, matura e consapevole degli eventi attorno a lei.
Sì, lei è l'opposto di me, insomma.
È anche una di quelle persone che ho il terrore di deludere. Una di quelle per cui vorrei avere più consapevolezza di me, per poterle dimostrare che le sue parole e il suo affetto nei miei confronti, non sono sprecati.
Quando sei confuso e spaventato, quando ti sembra di vivere in una vita che non è la tua e di cui non hai il controllo, ciò che temi di più è perdere i capisaldi della tua esistenza. Nei momenti di crisi, ognuno di noi cambia talmente tanto da non sapersi riconoscere. Spesso odiamo le persone che stiamo diventando. E la paura più grande è quella di allontanare e ferire coloro che sono sempre stati con noi.
La guardo stringere al petto una montagna di libri mentre attraversa la strada velocemente e mi raggiunge con un grosso sorriso sulle labbra:
"Buongiorno!"
"Ciao a te, deliziosa creatura sepolta in un cappotto due taglie più grande del necessario..." ridacchio squadrandola e lei, per nulla offesa, si sistema la borsa su una spalla e allaccia la cintura di quella cosa che indossa e che io - più per intuizione che altro - ho definito cappotto.
"Hai intenzione di essere la causa di un'inattesa Apocalisse?" mi chiede dandomi un bacio sulla guancia e scrutandomi attenta.
"Perché?" chiedo confusa dalla strana affermazione e lei si limita a strizzare gli occhi prima di proseguire: "Sei uscita di casa. È un evento piuttosto raro ultimamente. Potresti causare qualche squilibrio elettromagnetico."
"Divertente, Terry. Molto divertente. Non dovresti prenderti gioco della mia agorafobia: non si scherza con i pazzi" minaccio ricominciando a camminare e trascinandola lungo la strada con me.
"Beh, io ho la legge dalla mia parte."
Sì, anche Terry - come Bet - ha intrapreso la carriera legale. Non so se questo sia un bene, ma sono tutte e due destinate a galleggiare nelle scienze giuridiche. Penso fosse scritto nelle stelle.
"Dove stiamo andando?" mi chiede spostando i libri da un braccio all'altro e cercando il mio sguardo.
"Io in segreteria. Tu non lo so."
"Io stavo andando in Biblioteca. Direi che possiamo fare un pezzo di strada insieme, così mi puoi finalmente parlare della principale novità della tua vita..."
"Sarebbe?"
"Gli astri sussurrano che mi devi parlare di una nuova presenza."
"Chi te l'ha detto?" domando mentre voltiamo l'angolo e arriviamo di fronte agli edifici amministrativi del nostro ateneo. Poi sospiro, consapevole di conoscere già la risposta alla mia domanda.
"Bet. Dai, rendiamolo ufficiale. Dimmelo come se non lo sapessi già." suggerisce lei, sghignazzando.
"Ho un nuovo coinquilino. La carogna più grande che tu ti possa immaginare. L’arroganza fatta maschio, con un viso d’angelo e un fisico fantastico. Lo detesto."
"Sì, mi dissero che è un discreto manzo. Quando me lo fai conoscere?"
"Per il tuo bene dovrei risponderti mai. Non è un uomo, credimi." rifletto legandomi i capelli e mettendole un braccio attorno alle spalle.
"Come si chiama?"
"Satana?" propongo un epiteto alternativo per il mio inquilino, sentendomi molto spiritosa.
Lei continua a ridere, poi spalanca gli occhi per cercare di convincermi a dire il vero nome del ragazzo che ora vive con me.
"Ok, si chiama Alex" concludo facendo una smorfia.
"Ah già, è straniero!"
"Sì, americano. Non dire nulla ti prego. Jules ha già speculato a sufficienza sulla cosa."
" Peccato, per una volta volevo essere io quella divertente." risponde lei sorridendo e guardando di sfuggita l'orologio.
Io so perché l'ha fatto: si sente in colpa perché non è già seduta in biblioteca a studiare. Ve l'ho detto che lei è la quella brava.
La nostra conversazione viene interrotta dalla musica del mio cellulare che riproduce Halo a tutto volume.
"Oh, scusa, Beyoncé mi cerca" scherzo affondando la mano in borsa e frugando alla ricerca di quel rumoroso oggetto.
"Pronto, qui ragazza triste e insoddisfatta".
"Med, Med una tragedia!" grida Bet all’altro lato del telefono.
"Bet, calmati! Tragedia del tipo ho fatto bruciare il sugo e ora non riesco a togliere il fondo nero o tragedia stile ho effettivamente corroso le piastrelle del bagno perché non so che razza di sostanza chimica ho usato?” le domando divertita.
"No, simpaticona. Tragedia nel senso che io e J abbiamo le zecche in casa!" mi risponde lei sull’orlo delle lacrime.
"Le zecche in casa?!" chiedo sbalordita "E come ci sono arrivate? Non avete nemmeno un cane!"
"I piccioni, Med! Tu lo sapevi che i piccioni portavano le zecche? Io non ne avevo idea."
"Ok, aiutami a capire. Hai deciso di fare l’originale e prendere dei piccioni come animali domestici?" dico dubbiosa.
"Ma no, stupida! Noi abitiamo all’ultimo piano, giusto? Beh, quei pennuti maledetti amano appollaiarsi sopra la nostra finestra! Sul tetto Med! E quei disgustosi parassiti succhia sangue hanno pensato che casa nostra fosse il luogo perfetto per nidificare, a quanto pare" sento che ringhia imbestialita.
Io appoggio una mano sulla cornetta, mi volto verso Terry e chiedo sconvolta:
“ Le zecche nidificano?”
Lei alza le spalle e, insicura, risponde "Che vuoi che ne sappia? Io odio gli animali!"
"Sei proprio una brutta persona" ridacchio io.
“ Med, mi stai ascoltando?” sento Bet starnazzare.
“ Sì, sì, B. Ti ascolto. Mi dispiace molto per la tua…mmmh…invasione. Vuoi che ti trovi il numero della disinfestazione?”
“ Ma quale disinfestazione. Li ha già chiamati J. Vengono mercoledì...“ ribatte lei aggressiva.
“ Ok, perfetto. Allora problema risolto. Mercoledì ti libererai delle zecche!” concludo soddisfatta.
Per quale motivo poi non si sa. Non ho fatto nulla per cui abbia il diritto di sentirmi compiaciuta.
“ No, tu non hai capito niente! Io qui non ci resto un secondo di più.” starnazza Bet rumorosa e in procinto di avere un probabile attacco di panico.
“ Oh, va bene. E dove andate?”
“ Med, me le sento tutte addosso. Sento le loro zampette dimenarsi. Mi immagino le loro mandibolucce che mi si conficcano nella carne. E poi, grazie al mio sangue, danno vita a tanti zecchini!”
“ Zecchini?”
“ Sì, zecchini! Med, io non voglio gli zecchini sotto pelle! Oddio se mi finiscono vicino alla patatina? Oh, che schifo! Mi sto sentendo male! Vuoi che mi senta male, Med?”
“ No Bet, certo che non voglio che tu ti senta male. Ma che posso fare io per te e J?” chiedo sempre più confusa. Tra zecchini, mandibolucce e patatine mi sembra la fiera dei vezzeggiativi.
Sono un po’ disorientata.
“ Bet…?” Lei non risponde e dopo qualche secondo di silenzio, capisco cosa vuole.
“ Oooh no, no, no, no, no. Non esiste Bet! Non potete venire a stare da me! Scordatelo!” alzo la voce in ansia, iniziando a camminare su e giù per la strada.
“ Med, ti imploro! Non mi puoi lasciare qui con le zecche! Vuoi che mi prenda qualche malattia e che si succhino il mio dolcissimo sangue? Certo, se fossi tu il problema non sussisterebbe. Hai il plasma talmente acido che vomiterebbero subito” divaga lei un po' distratta e io mi mordo un labbro nella speranza di contenere qualche insulto di risposta.
“ Oh, davvero? Bet, non potete venire da me! Dove vi metto? Casa mia è un buco! E ora che c’è anche quel demone dagli occhi blu, l’ossigeno da dividere è troppo poco!” cerco di convincerla io.
“ Apriremo le finestre. Io e J stiamo uscendo di casa. Ci vediamo da te tra mezz’ora” e riattacca il telefono.
Io fisso il cellulare cercando di capire in quale momento ho accettato di ospitarli. Ma non ci riesco proprio.
“ Che succede?” mi chiede Terry curiosa e, probabilmente anche confusa.
“ Ci sono le zecche” rispondo io con voce da ebete mentre valuto gli effetti di altre due persone in casa mia. E immagino l'ira funesta di Alex per non avergli chiesto il permesso di ospitare Bet e J in quella che - purtroppo - è ora anche casa sua.
“ Dove Med?” mi domanda lei confusa quanto me.
“ Da Bet. Si devono essere alleate con Alex per rovinarmi la vita” sussurro pensierosa e insospettita, immaginandomi come la vittima in una partita di Cluedo: Alex e le zecche, in cucina, con arguzia e mandibolucce.
“ Non capisco.” Esclama lei osservandomi con i suoi grandi occhi neri.
“ Neanche io. So solo che ho appena vinto due nuovi inquilini. E non mi riferisco alle zecche.”
Sul suo volto è sempre più evidente il dubbio ma, al momento, non ho tempo di essere più chiara. Devo andare a casa ad avvisare Alex della situazione o rischio pericolose ripercussioni, tipo scarafaggi nel letto. O che tagliuzzi tutti i miei pigiami.
Quello è demoniaco, non dimenticatelo mai.
"Tesoro, devo scappare. Ti spiegherò meglio quando avrò capito anche io." dico a mia cugina, abbracciandola e fuggendo a gambe levate verso il mio appartamento.
Quando arrivo a casa sono trafelata e nel panico (oltre che bisognosa di un polmone d'acciaio). Sto infilando le chiavi nella serratura, quando la porta si spalanca e incontro all’istante due occhi azzurri che mi fissano. E lo sguardo che li adorna è stranamente scuro. Oserei dire arrabbiato.
Separo le labbra per dire qualcosa, qualunque cosa, ma Alex mi blocca, alzando una mano.
“ Spiega.” Esclama freddo, ma nella sua voce avverto un tono decisamente infastidito.
“ Le zecche!” è l’unica risposta che riesco a produrre.
“ Questa non è una risposta, Med. Sono tre sillabe” ribatte facendomi spazio per entrare.
“ Lo so. Alex, non ho capito nulla neanche io. Hanno le zecche in casa.” Dico dirigendomi verso la cucina, mentre lui mi segue.
“ Questo l’avevo afferrato dai deliri di Bet sulla possibilità di avere o meno una famiglia di parassiti infilati nel canale vaginale” dice lui seguendomi in cucina e la voce assume per un attimo un tono disgustato.
“ Ma che schifo!”
“ Pensa al piacere che ho provato io nell’immaginare la cosa.” borbotta Alex aggrottando la fronte. “ Comunque, non cercare di distrarmi. Perché gli hai detto che potevano venire qui? Med, ma l’hai guardata questa casa? È minuscola! Come ci stiamo in quattro qui dentro, secondo il tuo piccolo cervellino?”
“ Primo, il mio cervello non è piccolo: è proporzionato a tutto il resto. Secondo non ho esattamente detto che potevano venire qui!”
“ E allora che cosa hai detto, esattamente?” mi domanda appoggiandosi al bancone di fronte a me e incrociando le braccia, con fare inquisitorio.
“ Beh, non molto. Nel senso che prima ho detto che non potevano…”
“ E poi…?” mi incalza sospettoso.
“ E poi non ho detto nulla.” Bisbiglio imbarazzata.
“ Med!” si lamenta lui, chiudendo gli occhi e affondandosi le mani nei capelli.
Uh, posso affondarci anche le mie? Sono pressoché certa che mi farebbe stare molto meglio.
“ E’ stata colpa di Bet, Alex! Te lo giuro! Mi ha raggirata!” lo imploro pateticamente, e il fatto stesso che io debba scusarmi con la versione belloccia di Ade, mi urta incredibilmente.
“ Lei gioca sporco, quella two face!” sibilo tra i denti, abbassando lo sguardo e stringendo i pugni.
Lui tace per quello che sembra il minuto più lungo della giornata, probabilmente con l'unico scopo di torturarmi.
Poi, così, dal nulla, comincia a ridere.
“ Cosa mi sono persa?” chiedo, guardandomi attorno.
“ Solo tu potevi farti raggirare dalla tua migliore amica!”
“ Ehi, tu non sai niente di me!” rispondo indignata e offesa. Anche se ha ragione. Solo io potevo farmi raggirare da una persona che conosco bene come Bet.
“ Beh, adesso so che sei un’allocca!” ribatte sorridendo.
Sto per partire all’attacco, quando lui mi ferma, apparentemente poco interessato alla mia difesa e per nulla desideroso di discutere: cosa che un po' mi delude. Litigare con Alex, a volte, ha una funzione liberatoria. E anche un poco terapeutica.
“ No Med, ne riparliamo in un secondo momento. I tuoi amici sono di là che ti aspettano, carichi di valigie e tutti scompigliati. Sembrano profughi. Prima sistemiamo questa cosa. Abbiamo tutto il tempo del mondo per litigare” dice mentre si solleva dal bancone, dirigendosi verso il soggiorno ed io lo seguo, sospirando.
“ Ecco la vostra eroina” mi annuncia con un tono divertito e gli occhi di Bet e J si posano veloci su di me.
“ Oh Med!” urla Bet lanciandomi le braccia al collo.
“ Mollami, drama queen!” borbotto staccandomela di dosso e sorrido a Jimmy.
“ Med, mi dispiace tanto, ma Bet stava per andare in iperventilazione quando ha visto le zecche. Cercheremo di dare il meno disturbo possibile. E di andarcene appena la casa sarà agibile. Giovedì saremo fuori di qui. Promesso!” mi risponde lui un po' imbarazzato.
“ Non ti preoccupare J, non ti posso condannare per aver scelto una psicopatica come compagna di vita. L’amore è cieco.” ridacchio facendo una linguaccia nella direzione della mia migliore amica.
“ Va all’inferno” si limita a bofonchiare Bet.
“ Ehi, controllati se non vuoi andare a fare un pigiama-party con le zecche!” minaccio severa e compiaciuta all'insorgere di un'espressione di panico suoi lineamenti.
Lei mi fa una boccaccia e Alex e J ridono.
“ Allora, dobbiamo decidere gli arrangiamenti per dormire, direi” suggerisce quella sciocca bionda che mi sono scelta come amica.
“ Voi prendete camera mia. C’è il letto matrimoniale. Io dormirò sul divano” decreto fingendo allegria, benché senta già dolori ovunque al solo pensiero. Il mio sofà è la cosa più scomoda dopo le rotaie del tram, senza dubbio.
“ No Med, non possiamo sbatterti fuori dalla tua stanza” dice J mentre Bet gli tira un calcio. Io rido e rispondo:
“ Tranquillo J, meglio qualche dolorino che sentire B. che si lamenta per quattro giorni!”
“ Ok, mi sembra tutto sistemato” conclude Alex alzandosi dal bracciolo della poltrona e dirigendosi verso il bagno.
Io indirizzo il mio sguardo infastidito verso la sua schiena: che cafone. Il minimo che poteva fare era offrirsi di dormire in soggiorno al mio posto.
Bet e J cominciano a sistemarsi in camera ed io afferro il mio pc e mi posiziono sul bancone della cucina: apro lo schermo e inizio a scrivere.
Non penso. Scrivo e basta: racconto i miei pensieri ad un file che li custodirà e che non mi farà domande. E mi perdo nelle parole: sento i miei amici muoversi per casa, J uscire per andare da qualche parte e Bet lamentarsi per l'ennesimo esame da preparare. Ma io non li ascolto: scrivo e basta.
A volte mi perdo così tanto nella confusione di pensieri nella mia mente, che l’unico modo per tirarli fuori è scriverli. Lascio che le parole prendano vita e scorrano fuori dalle mie dita senza regole. Ma so che sono frasi sconnesse, senza un filo logico che faccia da guida a quell’insieme di lettere nero su bianco. Non li rileggo mai: credo che mi creerebbe quasi imbarazzo vedere cosa davvero penso. Come se quelle cose non le avessi scritte io. Come se non fossero frutto della mia mente.
Ho provato, in passato, a dare uno sguardo veloce a cosa avevo prodotto e, l’unico risultato è stato un forte senso di vergogna e un punto di domanda stampato in fronte.
Sembra quasi che, nel momento in cui le parole lasciano il mio cervello, non mi appartengano più. Quasi non fossero realmente proiezioni del mio inconscio, ma verità di una persona che non sono io. E allora l’istinto mi spingerebbe a cancellarle. A eliminare le prove del percorso di pensieri in cui mi ero trovata qualche istante prima.
Una volta qualcuno mi ha detto che chi scrive, quando inizia a buttare giù le parole, in realtà vuole esprimere un concetto totalmente diverso da quello che sarà il risultato finale. Ed è per questo che gli scrittori spesso non sono soddisfatti dei loro lavori. Perché non era il messaggio che volevano trasmettere. Non era la storia che volevano raccontare.
Non so se sia vero; non so se valga per tutti. Ma è una possibilità.
Quando il lampione sotto casa mia si accende, mi rendo conto che si sta facendo buio fuori e allora abbasso lo schermo del portatile e chiedo:
“ Ragazzi, che volete mangiare per cena?”
“ Quello che preferisci tu, Med. Ci affidiamo a te” risponde Bet da camera mia.
“ Primo o secondo?”
” Primo. Qualcosa di pesante e calorico! Ho fame, e J non ha l’occasione di mangiare bene molto spesso” ridacchia lei, consapevole della propria mancanza di abilità culinaria.
“ Carbonara va bene?”
“ Sì! Bona la carbonara!” strilla entusiasta e poi si rivolge a J “Sei contento, amore?”
Non sento la sua risposta, ma inizio comunque a raggruppare gli ingredienti necessari.
Mi accuccio alla ricerca di una pentola per la pasta, infilandomi dentro uno degli armadietti.
“ Sono invitato anche io a cenare con voi?” chiede Alex alle mie spalle. Spunta sempre fuori dal nulla, ma la cosa non mi stupisce: l'ho detto che è un demone.
“ Solo per questa volta. Solo perché abbiamo ospiti” rispondo inghiottita dal buco nero in cui tengo l’occorrente per cucinare.
“ Med, ti dispiace uscire di lì? Non è il momento di avere una conversazione con il tuo sedere” ride lui, avvicinandosi.
“ Peccato, perché è il massimo in cui tu possa sperare” ribatto restando immersa fino alla vita dentro la credenza.
“ Massimo nel senso che più grosso di così non può diventare?” scherza lui, ormai dietro di me.
“ Cosa?!” domando indignata e faccio un goffo tentativo di uscire dal buio in cui mi sono infilata. Ovviamente, visto che la mia coordinazione è pari a zero, nel movimento tiro una testata contro la parte superiore dell’interno del mobile. Dico qualche parolaccia e sento Alex ridere. Indietreggio un po’ ed estraggo buona parte di me stessa da quella trappola.
Quando posso considerarmi quasi libera, sbatto con poca grazia contro lo spigolo superiore dello sportello. E fa male. Molto male.
“ Dolore!” mi lamento, sedendomi sul pavimento e appoggiando la schiena all’armadietto accanto mentre mi massaggio la botta.
“ Mamma mia, quando sei maldestra! Fammi vedere...” constata lui e si inginocchia alla mia sinistra, prima di cercare di sfiorare il mio testone.
“ Non toccarmi, Belzebù!” ribatto con le lacrime agli occhi e muovendo la testa.
“ Smettila di dimenarti. Voglio solo vedere se sanguini!” ordina un po' scocciato e afferra il mio viso tra le mani per bloccarmi.
“ Così poi puoi succhiarmi il sangue da vampiro quale sei?” ringhio per protesta, guardandolo negli occhi. Mamma mia come sono belli con quelle striature più chiare attorno alla pupilla. E come brillano. Sembra che abbiano vita propria.
“ Un gran bel vampiro, però” bisbiglia lui sorridendomi.
Non rispondo e, con mio grande orrore, mi rendo conto le lacrime stanno iniziando a scendere. Ma perché piango? Non mi sembrava facesse così male.
“ Fa male?” mi domanda piano.
“ No, fa bene” sussurro con voce sarcastica.
“ L’avevo capito dalle lacrime. Credi di riuscire a non staccarmi un braccio a morsi mentre vedo se ti sei causata danni permanenti?” mi chiede, con voce divertita.
Io annuisco e lui lascia andare il mio viso, piegandomi la testa in avanti per vedere meglio.
“ Nulla di grave, non stai morendo. Solo un bel bernoccolo. Ci mettiamo un po’ di ghiaccio, così non sembrerà che tu abbia due teste” annuncia dopo l'ispezione e tornando a guardarmi negli occhi.
“Ok? Facciamo che tu ti siedi e la carbonara la faccio io? Non vorrei che ti affettassi le dita mentre grattugi il formaggio.”
“ Io sono brava in cucina” borbotto in modo puerile, abbassando il mento.
“ Non lo dubito. Ma immagino che tu sia più brava quando non hai una botta enorme che ti si gonfia sul retro della testa. Avrai altre occasioni per dimostrarmi che perfetta chef tu sia, tranquilla” dice tenendo la voce bassa e offrendomi l'ennesimo sorriso serafico, per farmi capire che non sta scherzando, poi si alza e continua:
“ Resta qui, ti prendo qualcosa dal congelatore.”
“ Perché sei così gentile con me? Stai cercando di entrare nelle mie grazie? Rinuncia, Alex. È fatica sprecata” rispondo seguendolo con lo sguardo, mentre si riavvicina e si riabbassa alla mia altezza. O bassezza, che dir si voglia.
Lui non risponde, ma ammicca con fastidiosa delicatezza e mi appoggia un surgelato sulla botta. Che scena poetica.
“ Che c’è di divertente?” chiedo indispettita dal onnipresente sorriso.
Non gli vengono i crampi alle guance a forza di usare i muscoli?
“ Forza, vai a sederti e non levarti la busta dalla testa!” conclude, evitando i miei occhi e sollevandomi per un braccio.
Io eseguo sospettosa e raggiungo Bet e J in salotto, sbuffando per una serie di motivi, tra cui il fatto che, ora che lui è stato civile con me, prima o poi io lo dovrò essere con lui.
“ E’ pronto?” domanda Bet, alzando la testa dal libro del suo prossimo esame.
“ Che ti è successo Med?” mi chiede J con gli occhi spalancati
“ Niente, ho dato ripetute testate alla cucina” dico lasciandomi cadere nella poltrona.
“ E il nostro cibo?” domanda Bet nel panico.
“ Ci pensa il figlio di Lucifero.”
“ Ohhhh, Alex” ride lei maliziosa.
“ Non dire nulla, B.” e chiudo gli occhi abbandonandomi alla stanchezza.
Tre ore dopo la testa mi fa ancora male. Sono sdraiata sul divano, nel buio, ma non riesco a dormire. Questo sofà è scomodo, è duro e punge. E poi non posso mettermi a pancia in giù.
Mi rigiro una decina di volte, guardo l’orologio e mi chiedo come facciano i miei coinquilini a dormire; in fondo è solo mezzanotte. Non dovremmo essere in giro a vivere come fanno i ragazzi della nostra età? Ma chi prendo in giro? Io non sono mai stata una viveur. Non mi ha mai entusiasmato girare per locali e ubriacarmi. Forse sono vecchia dentro.
Non so perché la mia mente divaga su L. Perché non riesco a dare un taglio netto a questa storia? Perché accetto di avere a che fare con lo schifo che lui mi offre?
È come quando mangi il cioccolato. Sai che ti farà male, che finirà tutto suoi tuoi fianchi, e che poi dovrai faticare per mandare giù l’adipe. Ma non riesci a fermarti. Tu lo devi avere fino a quando puoi. Non ti puoi far sfuggire l’occasione di assaporare quel cioccolatino.
Credo che il problema sia che io vivo nell’attesa di rivedere il ragazzo che mi ha abbindolata all'inizio. Non era la sua capacità oratoria, o quanto brillante fosse, o la sua cultura o il suo livello di intelligenza, che mi attraevano. Anche perché L non possiede nulla di tutto ciò. Non sa mettere insieme tre parole in forma corretta, è assolutamente incapace di sostenere una conversazione, non sa motivare le sue posizioni ed è talmente inconsistente che non ci si può avere una discussione di livello superiore a quella sul prossimo trucchetto per evitare un ostacolo. Il suo carisma è tutto fumo, è di un’ignoranza imbarazzante e di una povertà verbale e spirituale spiazzante. E non è nemmeno intelligente. E’ solo furbo. Ma furbizia non sempre è sinonimo di acutezza mentale. In questo caso non lo è.
Quello che mi piaceva di L durante il primo periodo, era come mi faceva sentire. Come mi trattava e mi parlava. Solo ora capisco che era una sceneggiata. Che era un trucco per incastrarmi. Ma ai tempi mi aveva dato un po’ più di sicurezza nelle mie capacità.
“ Med, perché non dormi?”
Mi volto verso il retro del divano e vedo Bet venire verso di me.
“ Potrei chiederti la stessa cosa” le rispondo rannicchiandomi per farle spazio.
“ Pensavi così rumorosamente che mi hai svegliata.” Ribatte accarezzandomi il braccio.
“ Hai voglia di dirmi che ti stava frullando in testa?”
“ Non lo so. A volte mi sembra che il mio cervello vada troppo veloce per capirlo.”
“ Perché non cominci a dirmi quella che ti stava divorando ora?” domanda infilando i piedi sotto la mia coperta.
“ L...” rispondo evasiva.
“ Ah, il brutto babbuino stupido” finisce lei per me.
“ Non ti piace proprio, eh?” le chiedo sollevando lo sguardo da un buchino nella trapunta.
“ No, non piace nemmeno a te, come puoi pretendere che io lo approvi? Non mi piace come ti tratta, non piace come ti fa sentire, e non mi piace che si approfitti del fatto che sei buona e disponibile. Tesoro, non spetta a me dirti che fare. E sai perfettamente che non mi piace esprimere pareri su L proprio per questo, ma credi davvero che sia una persona che può darti qualcosa di buono?”
Io esito un po’, torturo lo strappo nella coperta e poi gioco con il fondo del suo pigiama e, senza guardarla in viso dico:
“La settimana scorsa l'ho chiamato per parlare un po' e gli ho detto che ero particolarmente giù ma non sapevo bene perché.”
“ Mmh-hmm!” risponde lei annuendo
“ Sai, ho pensato che magari, per una volta potessimo parlare anche di me e dei miei problemi...”
Bet resta in silenzio, aspettando che continui.
“Lui si è limitato a interrompermi e a deviare la conversazione su di sè e sulla sua preoccupazione per i suoi problemi, cercando in me appoggio e conforto. So che L è un pirla, ma mi sarei aspettata qualche parola di più. Non lo so…non so cosa mi aspettavo” concludo chinando il viso e nascondendo la tristezza dietro una tenda di capelli.
Lei avvicina una mano e mi scosta una ciocca dal viso, poi mi sorride e dice
“ Forse ti aspettavi qualcuno che L non è. Tu sai cosa devi fare Med. Non sta a nessuno decidere per te. Tu hai già gli elementi per fare la tua scelta. Devi solo aspettare il momento in cui sarai davvero pronta ad accettarla.”
Io la fisso negli occhi per qualche secondo, lasciando che le sue parole vengano assorbite dalla Med dentro di me. La Med che ancora si deve convincere. E prendo atto del fatto che quando sarà pronta lei, lo sarò anche io.
Annuisco e ricambio il suo sorriso mentre lei mi abbraccia e si stende sul divano.
“ Forza, ora dormiamo. Devo studiare domani” dice, battendo la mano sullo spazio accanto a lei.
Io muovo la testa e mi lascio cadere sui cuscini. Stiamo strette e scomode. Ma lei sa che in questo momento, averla vicina conta di più di un sonno riposato.
In questo preciso istante mi sento al sicuro. E non mi sento sola. Ed è l’unica cosa che conta.
In tutta sincerità non lo so bene neppure io: un bel giorno me l'hanno presentato e, in qualche maniera, lui ha iniziato a provarci. Non vi dirò sciocchezze: pensavo scherzasse finché non mi ha baciata. Poi ha proseguito nella sua arte del tampinamento perenne ed io, nella mia palla di insicurezza, ho lentamente cominciato a sentirmi bene e importante; più lui mi cercava, più io vedevo cose positive in questo ragazzo dagli occhi nocciola, l'aspetto non propriamente affascinante ma, senza dubbio, un potente carisma che catalizza un po' l'attenzione di tutti, vuoi perché è a tratti divertente.
Sta di fatto che, un bel giorno, lui aveva smesso di essere quello che mi cercava ed io ero diventata quella che palpitava all'idea di uscire a cena con lui o che restava in attesa della sua proposta di passare per un film da me: ha giocato bene le sue carte, ha saputo manipolare con arte la mia insicurezza finché io non sono diventata quella che pendeva dalle sue labbra e che elemosinava la sua attenzione.
Dentro di me ho sempre saputo di non avere l'esclusiva: ma a me non importava. Mi interessava sapere che - gira che ti rigira - alla fine lui tornava da me.
Nel processo di sedimentazione di L nella mia esistenza, insomma, ho disintegrato ogni forma di rispetto per me stessa e di dignità personale. Non ne vado fiera ma non posso neppure negare ciò che ho fatto e che ancora, in qualche misura, trascino avanti.
Diciamo che sono stati fatti grandi progressi negli ultimi mesi: ora sono in grado di ammettere che lui è uno stronzo ripieno, con la curiosità intellettuale di un frullatore e la sensibilità di un caterpillar. Sul fatto che sia brutto non commento: deve essere il classico caso in cui il carisma si riflette sul lato estetico e lo fa risplendere. Io ora sono ancora vittima del potere originario di questa cosa e, benché sappia che non sia propriamente bello, quando mi bacia l'ormone parte in automatico.
E poi neppure io sono una gnocca, ragion per cui non miro troppo in alto. Forse.
Sta di fatto che l'idea che io non possa aspirare ad altro o che mi debba tenere stretto L perché rischio che nessun altro mi si voglia fare, balena nella mia mente più spesso di quanto mi piaccia ammettere: sì, lo so, è mortificante. Ma ve l'ho detto che con L ho ridotto in poltiglia la mia stessa dignità.
Se la vedete in giro e riuscite a ricostruirla, mi trovate sulla Pagine Bianche.
Ho preso 25 in Botanica. Sono stato bravo, vero? Tu non l'hai ancora dato, giusto? Adesso sono più avanti di te ehehehe.
Leggo il suo sms con disinteresse e con un briciolo di umiliazione: sono passate due settimane dalla sera in cui l'ho aiutato a preparare Farmacologia (che, per la cronaca, ha passato con un pingue 21) e, dopo essersi pavoneggiato per qualche ora mentre prendevamo un caffè al Bar dell'Università insieme ad alcuni compagni di corso, è sparito dalla circolazione per ricomparire stamattina con questo insopportabile messaggio.
Se ve lo state chiedendo, sì, L è la classica persona che si fa grande delle sconfitte altrui, invece che delle proprie vittorie. Ed è di un'arroganza al limite del legale.
Imbarazzata e pure un po' incazzata cancello il messaggio senza degnarlo di una risposta e lascio cadere il cellulare nella mia borsa, raccogliendo un paio di libri da terra e infilandomi un maglione, prima di scaraventarmi fuori dalla mia stanza ed essere salutata dalla schiena di Alex che sta armeggiando in cucina.
Il mio molesto coinquilino si ostina a materializzarsi in casa quando ci sono io e ancora non sono riuscita a convincerlo a cercarsi una nuova collocazione immobiliare: sostiene che il mio morbido culo abbia poteri paranormali che lo hanno spiritualmente incatenato a questo appartamento e al suddetto sedere.
Nelle due settimane di condivisione dello spazio vitale, io ho perseverato nella mia crociata di rendergli impossibile la vita in appartamento e di manifestargli tutto il mio fastidio nei suoi confronti; lui, da parte sua, ha continuato a divertirsi un sacco lanciandomi frecciatine, sfottendomi e cercando di interagire con me. Sospetto che il mio approccio lo stimoli e lo incoraggi: forse dovrei cambiare modus operandi ma il baldo giovine mi sta eccessivamente sui cosiddetti ed io non riesco a trattenermi.
Manco totalmente di autocontrollo per nascita. Apparentemente non vi è rimedio: Jules dice che neppure la psicologia azzarderebbe un passo nella mia direzione. Sostiene che Hannibal Lecter sarebbe un caso con maggiori speranze di me.
“ Ah! Sono in ritardissimo!” strillo, correndo verso la cucina e Alex si volta a guardarmi curioso. Come sempre.
“ In ritardo per cosa?” risponde, versandosi il caffè.
“ Devo andare in segreteria a consegnare delle carte. E non ho sentito la sveglia. Non che questi siano affari tuoi, comunque” ribatto mentre estraggo uno yogurt dal frigorifero e zompetto da una parte all'altra della cucina, raccogliendo il necessario per la mia colazione take away.
“ Ovviamente” dice lui sottovoce.
Ignorandolo, mi volto e osservo la tazza che si sta avvicinando alle labbra.
“ E’ caffè quello?” chiedo sospettosa.
“ No, è sangue di pipistrello! Certo che è caffè!” sorride alzandolo orgoglioso e sul mio viso prende vita un'espressione contrariata.
“ Mi sembrava di averti detto di non usare le mie cose” puntualizzo facendo qualche passo nella sua direzione.
“ Magari l’ho comprato anche io, no?” continua lui.
“ Ne dubito” concludo, togliendogli la tazza fumante dalle mani.
“ Ehi!” si lamenta lui, avendo apparentemente qualcosa da ridire sul mio comportamento mattutino: io decido di non curarmi delle sue proteste e faccio qualche passo lontano dal suo corpo.
“ Tanto è mio, e poi sono in ritardo. Tu te lo puoi rifare” rispondo soddisfatta, accingendomi a sorseggiare il mio carburante alla caffeina.
“ Tu quello non lo puoi bere!” mi ferma lui e appoggia una mano sul mio avambraccio per impedirmi di portare la tazza alla bocca.
“ Perché no?” chiedo guardando nel caffè confusa.
“ Perché c’è lo zucchero.”
Io lo osservo disorientata e resto in silenzio nell'attesa che si decida a elaborare il suo insignificante pensiero.
“ Credevo avessimo stabilito che le calorie sono veleno per te. Il tuo sedere ha già fenomenali poteri esoterici così com'è. Se cresce ancora, conquisterà la Terra.”
Oh, l'idiota si sente in vena di battute questa mattina.
“ Ringrazia solo che il mio didietro non abbia una mente propria o a quest'ora ti avrebbe già denunciato per molestie e stalking” ribatto sorseggiando la mia fonte di energia.
“ Se avesse una mente sua si sarebbe sbarazzato di te e della tua acidità e saremmo accoccolati a contemplare la sua delizia in questo momento. Io e Lui. Tu sei di troppo.” ridacchia lui preparando una seconda moka.
“ Tutto ciò mi rincuora. Quindi non mi potrai ritenere responsabile quando Lui si siederà su di te e progetterà di farti fuori. Chiederò a Bet se questa difesa potrà mai reggere in tribunale. Ora, se non ti dispiace, non ho altro tempo da sprecare con te” taglio corto, girando sui tacchi e prendendo il cappotto.
“ Puoi fare una cosa per me, Alex?” gli chiedo con voce melliflua.
“ Sarebbe?” domanda curioso.
“ Non farti trovare quando torno. Sparisci per sempre. Questo porterebbe il voto medio di questa giornata a dieci!” Sorrido, appoggio la tazza vuota nella lavastoviglie e mi dirigo verso l'uscita.
“ Sei adorabile già di prima mattina, eh? Comunque no, non posso fare quello che mi chiedi.” Ricambia il mio sorriso e addenta una fetta di pane e marmellata.
"Sono certa che il mio Signor Morbido Sedere scoprirà il modo di sbarazzarsi di te, allora" minaccio poi, aprendo la porta.
"Oppure io e Lui scopriremo come liberarci di te e potremo vivere serenamente la nostra inevitabile passione." arriva prontamente la sua risposta ed io posso solo sospirare e dichiararmi sconfitta per questo round.
Non ho proprio tempo di discutere con questo pomposo imbecille.
Incamminandomi verso la fermata del tram che mi condurrà in università - meglio nota come l'Inferno -, immersa nell'aria pungente e nel frastuono del traffico della città, mi impongo di non pensare. E mi rendo conto che è una cosa che faccio spesso da un po’ di tempo a questa parte. Pensare mi fa male. Mi annebbia la vista. Mi sento debole e in preda agli eventi ogni volta che lo faccio. L’unico modo per non cancellare il mio sorriso è impedire alla mia mente di riflettere su quello che mi succede. Perché ogni volta che mi fermo e osservo dove sono e valuto i perché di questi miei ultimi mesi, vengo attanagliata da un'angoscia che non so controllare. Ho come l'impressione di essere schiacciata ogni secondo dalle mie scelte, di essere costretta a valutare cosa e quando ho sbagliato, a decidere come rimediare a certi errori: e forse non sono pronta a farlo.
Forse non sono ancora in grado di alzarmi in piedi e ammettere che ci sono tante, troppe cose che devo cambiare. O, molto più semplicemente, non so come voglio cambiarle.
Mentre cammino con passo spedito respiro a pieni polmoni e deglutisco le lacrime che, troppo spesso, accompagnano questi pensieri. Io odio piangere: non perché sia segno di qualche tipo di debolezza ma perché in me, la maggior parte delle volte, sono segno di rabbia, non di tristezza.
Quando sono stizzita, io piango: e più piango più mi arrabbio. E sembra che io non riesca a fermare questo circolo. Le lacrime sembrano essere uno dei pochi modi in cui riesco a sbarazzarmi dell'ira e, sfortunatamente, la maggior parte delle persone sembra non voler capire che funzione abbiano per me: in genere mi consolano, mi compatiscono oppure mi spronano a non disperarmi. Insomma, le lacrime mi fanno apparire anche più patetica di quello che sono: sminuiscono il mio livore e l'impeto della mia forza emotiva. La gente associa sempre le lacrime alla debolezza e, forse, visto il pasticcio emozionale che si impasta dentro di me ultimamente, non ha poi tutti i torti.
Il mio insopportabile flusso di coscienza viene, per mia grazia, interrotto da una voce che urla il mio nome dall'altra parte della strada: mi blocco e, strizzando gli occhi, metto a fuoco la snella figura che si sbraccia sul marciapiede opposto al mio, nel tentativo di attirare la mia attenzione.
E sorrido. È la mia adorabile e saccente cugina Terry.
Teresa, per gli amici Terry, è fondamentalmente la sorella che non ho mai avuto. Sono cresciuta ogni giorno della mia vita con lei. In qualsiasi cosa io faccia, in qualunque momento della mia esistenza, Terry c'era.
Nel corso degli anni siamo cambiate tanto tutte e due, la vita si è messa in mezzo e ha separato i nostri sentieri, ma la connessione emozionale che esiste tra noi, non è qualcosa che spazio e tempo possono rompere.
Terry è una ragazza di successo, matura e consapevole degli eventi attorno a lei.
Sì, lei è l'opposto di me, insomma.
È anche una di quelle persone che ho il terrore di deludere. Una di quelle per cui vorrei avere più consapevolezza di me, per poterle dimostrare che le sue parole e il suo affetto nei miei confronti, non sono sprecati.
Quando sei confuso e spaventato, quando ti sembra di vivere in una vita che non è la tua e di cui non hai il controllo, ciò che temi di più è perdere i capisaldi della tua esistenza. Nei momenti di crisi, ognuno di noi cambia talmente tanto da non sapersi riconoscere. Spesso odiamo le persone che stiamo diventando. E la paura più grande è quella di allontanare e ferire coloro che sono sempre stati con noi.
La guardo stringere al petto una montagna di libri mentre attraversa la strada velocemente e mi raggiunge con un grosso sorriso sulle labbra:
"Buongiorno!"
"Ciao a te, deliziosa creatura sepolta in un cappotto due taglie più grande del necessario..." ridacchio squadrandola e lei, per nulla offesa, si sistema la borsa su una spalla e allaccia la cintura di quella cosa che indossa e che io - più per intuizione che altro - ho definito cappotto.
"Hai intenzione di essere la causa di un'inattesa Apocalisse?" mi chiede dandomi un bacio sulla guancia e scrutandomi attenta.
"Perché?" chiedo confusa dalla strana affermazione e lei si limita a strizzare gli occhi prima di proseguire: "Sei uscita di casa. È un evento piuttosto raro ultimamente. Potresti causare qualche squilibrio elettromagnetico."
"Divertente, Terry. Molto divertente. Non dovresti prenderti gioco della mia agorafobia: non si scherza con i pazzi" minaccio ricominciando a camminare e trascinandola lungo la strada con me.
"Beh, io ho la legge dalla mia parte."
Sì, anche Terry - come Bet - ha intrapreso la carriera legale. Non so se questo sia un bene, ma sono tutte e due destinate a galleggiare nelle scienze giuridiche. Penso fosse scritto nelle stelle.
"Dove stiamo andando?" mi chiede spostando i libri da un braccio all'altro e cercando il mio sguardo.
"Io in segreteria. Tu non lo so."
"Io stavo andando in Biblioteca. Direi che possiamo fare un pezzo di strada insieme, così mi puoi finalmente parlare della principale novità della tua vita..."
"Sarebbe?"
"Gli astri sussurrano che mi devi parlare di una nuova presenza."
"Chi te l'ha detto?" domando mentre voltiamo l'angolo e arriviamo di fronte agli edifici amministrativi del nostro ateneo. Poi sospiro, consapevole di conoscere già la risposta alla mia domanda.
"Bet. Dai, rendiamolo ufficiale. Dimmelo come se non lo sapessi già." suggerisce lei, sghignazzando.
"Ho un nuovo coinquilino. La carogna più grande che tu ti possa immaginare. L’arroganza fatta maschio, con un viso d’angelo e un fisico fantastico. Lo detesto."
"Sì, mi dissero che è un discreto manzo. Quando me lo fai conoscere?"
"Per il tuo bene dovrei risponderti mai. Non è un uomo, credimi." rifletto legandomi i capelli e mettendole un braccio attorno alle spalle.
"Come si chiama?"
"Satana?" propongo un epiteto alternativo per il mio inquilino, sentendomi molto spiritosa.
Lei continua a ridere, poi spalanca gli occhi per cercare di convincermi a dire il vero nome del ragazzo che ora vive con me.
"Ok, si chiama Alex" concludo facendo una smorfia.
"Ah già, è straniero!"
"Sì, americano. Non dire nulla ti prego. Jules ha già speculato a sufficienza sulla cosa."
" Peccato, per una volta volevo essere io quella divertente." risponde lei sorridendo e guardando di sfuggita l'orologio.
Io so perché l'ha fatto: si sente in colpa perché non è già seduta in biblioteca a studiare. Ve l'ho detto che lei è la quella brava.
La nostra conversazione viene interrotta dalla musica del mio cellulare che riproduce Halo a tutto volume.
"Oh, scusa, Beyoncé mi cerca" scherzo affondando la mano in borsa e frugando alla ricerca di quel rumoroso oggetto.
"Pronto, qui ragazza triste e insoddisfatta".
"Med, Med una tragedia!" grida Bet all’altro lato del telefono.
"Bet, calmati! Tragedia del tipo ho fatto bruciare il sugo e ora non riesco a togliere il fondo nero o tragedia stile ho effettivamente corroso le piastrelle del bagno perché non so che razza di sostanza chimica ho usato?” le domando divertita.
"No, simpaticona. Tragedia nel senso che io e J abbiamo le zecche in casa!" mi risponde lei sull’orlo delle lacrime.
"Le zecche in casa?!" chiedo sbalordita "E come ci sono arrivate? Non avete nemmeno un cane!"
"I piccioni, Med! Tu lo sapevi che i piccioni portavano le zecche? Io non ne avevo idea."
"Ok, aiutami a capire. Hai deciso di fare l’originale e prendere dei piccioni come animali domestici?" dico dubbiosa.
"Ma no, stupida! Noi abitiamo all’ultimo piano, giusto? Beh, quei pennuti maledetti amano appollaiarsi sopra la nostra finestra! Sul tetto Med! E quei disgustosi parassiti succhia sangue hanno pensato che casa nostra fosse il luogo perfetto per nidificare, a quanto pare" sento che ringhia imbestialita.
Io appoggio una mano sulla cornetta, mi volto verso Terry e chiedo sconvolta:
“ Le zecche nidificano?”
Lei alza le spalle e, insicura, risponde "Che vuoi che ne sappia? Io odio gli animali!"
"Sei proprio una brutta persona" ridacchio io.
“ Med, mi stai ascoltando?” sento Bet starnazzare.
“ Sì, sì, B. Ti ascolto. Mi dispiace molto per la tua…mmmh…invasione. Vuoi che ti trovi il numero della disinfestazione?”
“ Ma quale disinfestazione. Li ha già chiamati J. Vengono mercoledì...“ ribatte lei aggressiva.
“ Ok, perfetto. Allora problema risolto. Mercoledì ti libererai delle zecche!” concludo soddisfatta.
Per quale motivo poi non si sa. Non ho fatto nulla per cui abbia il diritto di sentirmi compiaciuta.
“ No, tu non hai capito niente! Io qui non ci resto un secondo di più.” starnazza Bet rumorosa e in procinto di avere un probabile attacco di panico.
“ Oh, va bene. E dove andate?”
“ Med, me le sento tutte addosso. Sento le loro zampette dimenarsi. Mi immagino le loro mandibolucce che mi si conficcano nella carne. E poi, grazie al mio sangue, danno vita a tanti zecchini!”
“ Zecchini?”
“ Sì, zecchini! Med, io non voglio gli zecchini sotto pelle! Oddio se mi finiscono vicino alla patatina? Oh, che schifo! Mi sto sentendo male! Vuoi che mi senta male, Med?”
“ No Bet, certo che non voglio che tu ti senta male. Ma che posso fare io per te e J?” chiedo sempre più confusa. Tra zecchini, mandibolucce e patatine mi sembra la fiera dei vezzeggiativi.
Sono un po’ disorientata.
“ Bet…?” Lei non risponde e dopo qualche secondo di silenzio, capisco cosa vuole.
“ Oooh no, no, no, no, no. Non esiste Bet! Non potete venire a stare da me! Scordatelo!” alzo la voce in ansia, iniziando a camminare su e giù per la strada.
“ Med, ti imploro! Non mi puoi lasciare qui con le zecche! Vuoi che mi prenda qualche malattia e che si succhino il mio dolcissimo sangue? Certo, se fossi tu il problema non sussisterebbe. Hai il plasma talmente acido che vomiterebbero subito” divaga lei un po' distratta e io mi mordo un labbro nella speranza di contenere qualche insulto di risposta.
“ Oh, davvero? Bet, non potete venire da me! Dove vi metto? Casa mia è un buco! E ora che c’è anche quel demone dagli occhi blu, l’ossigeno da dividere è troppo poco!” cerco di convincerla io.
“ Apriremo le finestre. Io e J stiamo uscendo di casa. Ci vediamo da te tra mezz’ora” e riattacca il telefono.
Io fisso il cellulare cercando di capire in quale momento ho accettato di ospitarli. Ma non ci riesco proprio.
“ Che succede?” mi chiede Terry curiosa e, probabilmente anche confusa.
“ Ci sono le zecche” rispondo io con voce da ebete mentre valuto gli effetti di altre due persone in casa mia. E immagino l'ira funesta di Alex per non avergli chiesto il permesso di ospitare Bet e J in quella che - purtroppo - è ora anche casa sua.
“ Dove Med?” mi domanda lei confusa quanto me.
“ Da Bet. Si devono essere alleate con Alex per rovinarmi la vita” sussurro pensierosa e insospettita, immaginandomi come la vittima in una partita di Cluedo: Alex e le zecche, in cucina, con arguzia e mandibolucce.
“ Non capisco.” Esclama lei osservandomi con i suoi grandi occhi neri.
“ Neanche io. So solo che ho appena vinto due nuovi inquilini. E non mi riferisco alle zecche.”
Sul suo volto è sempre più evidente il dubbio ma, al momento, non ho tempo di essere più chiara. Devo andare a casa ad avvisare Alex della situazione o rischio pericolose ripercussioni, tipo scarafaggi nel letto. O che tagliuzzi tutti i miei pigiami.
Quello è demoniaco, non dimenticatelo mai.
"Tesoro, devo scappare. Ti spiegherò meglio quando avrò capito anche io." dico a mia cugina, abbracciandola e fuggendo a gambe levate verso il mio appartamento.
Quando arrivo a casa sono trafelata e nel panico (oltre che bisognosa di un polmone d'acciaio). Sto infilando le chiavi nella serratura, quando la porta si spalanca e incontro all’istante due occhi azzurri che mi fissano. E lo sguardo che li adorna è stranamente scuro. Oserei dire arrabbiato.
Separo le labbra per dire qualcosa, qualunque cosa, ma Alex mi blocca, alzando una mano.
“ Spiega.” Esclama freddo, ma nella sua voce avverto un tono decisamente infastidito.
“ Le zecche!” è l’unica risposta che riesco a produrre.
“ Questa non è una risposta, Med. Sono tre sillabe” ribatte facendomi spazio per entrare.
“ Lo so. Alex, non ho capito nulla neanche io. Hanno le zecche in casa.” Dico dirigendomi verso la cucina, mentre lui mi segue.
“ Questo l’avevo afferrato dai deliri di Bet sulla possibilità di avere o meno una famiglia di parassiti infilati nel canale vaginale” dice lui seguendomi in cucina e la voce assume per un attimo un tono disgustato.
“ Ma che schifo!”
“ Pensa al piacere che ho provato io nell’immaginare la cosa.” borbotta Alex aggrottando la fronte. “ Comunque, non cercare di distrarmi. Perché gli hai detto che potevano venire qui? Med, ma l’hai guardata questa casa? È minuscola! Come ci stiamo in quattro qui dentro, secondo il tuo piccolo cervellino?”
“ Primo, il mio cervello non è piccolo: è proporzionato a tutto il resto. Secondo non ho esattamente detto che potevano venire qui!”
“ E allora che cosa hai detto, esattamente?” mi domanda appoggiandosi al bancone di fronte a me e incrociando le braccia, con fare inquisitorio.
“ Beh, non molto. Nel senso che prima ho detto che non potevano…”
“ E poi…?” mi incalza sospettoso.
“ E poi non ho detto nulla.” Bisbiglio imbarazzata.
“ Med!” si lamenta lui, chiudendo gli occhi e affondandosi le mani nei capelli.
Uh, posso affondarci anche le mie? Sono pressoché certa che mi farebbe stare molto meglio.
“ E’ stata colpa di Bet, Alex! Te lo giuro! Mi ha raggirata!” lo imploro pateticamente, e il fatto stesso che io debba scusarmi con la versione belloccia di Ade, mi urta incredibilmente.
“ Lei gioca sporco, quella two face!” sibilo tra i denti, abbassando lo sguardo e stringendo i pugni.
Lui tace per quello che sembra il minuto più lungo della giornata, probabilmente con l'unico scopo di torturarmi.
Poi, così, dal nulla, comincia a ridere.
“ Cosa mi sono persa?” chiedo, guardandomi attorno.
“ Solo tu potevi farti raggirare dalla tua migliore amica!”
“ Ehi, tu non sai niente di me!” rispondo indignata e offesa. Anche se ha ragione. Solo io potevo farmi raggirare da una persona che conosco bene come Bet.
“ Beh, adesso so che sei un’allocca!” ribatte sorridendo.
Sto per partire all’attacco, quando lui mi ferma, apparentemente poco interessato alla mia difesa e per nulla desideroso di discutere: cosa che un po' mi delude. Litigare con Alex, a volte, ha una funzione liberatoria. E anche un poco terapeutica.
“ No Med, ne riparliamo in un secondo momento. I tuoi amici sono di là che ti aspettano, carichi di valigie e tutti scompigliati. Sembrano profughi. Prima sistemiamo questa cosa. Abbiamo tutto il tempo del mondo per litigare” dice mentre si solleva dal bancone, dirigendosi verso il soggiorno ed io lo seguo, sospirando.
“ Ecco la vostra eroina” mi annuncia con un tono divertito e gli occhi di Bet e J si posano veloci su di me.
“ Oh Med!” urla Bet lanciandomi le braccia al collo.
“ Mollami, drama queen!” borbotto staccandomela di dosso e sorrido a Jimmy.
“ Med, mi dispiace tanto, ma Bet stava per andare in iperventilazione quando ha visto le zecche. Cercheremo di dare il meno disturbo possibile. E di andarcene appena la casa sarà agibile. Giovedì saremo fuori di qui. Promesso!” mi risponde lui un po' imbarazzato.
“ Non ti preoccupare J, non ti posso condannare per aver scelto una psicopatica come compagna di vita. L’amore è cieco.” ridacchio facendo una linguaccia nella direzione della mia migliore amica.
“ Va all’inferno” si limita a bofonchiare Bet.
“ Ehi, controllati se non vuoi andare a fare un pigiama-party con le zecche!” minaccio severa e compiaciuta all'insorgere di un'espressione di panico suoi lineamenti.
Lei mi fa una boccaccia e Alex e J ridono.
“ Allora, dobbiamo decidere gli arrangiamenti per dormire, direi” suggerisce quella sciocca bionda che mi sono scelta come amica.
“ Voi prendete camera mia. C’è il letto matrimoniale. Io dormirò sul divano” decreto fingendo allegria, benché senta già dolori ovunque al solo pensiero. Il mio sofà è la cosa più scomoda dopo le rotaie del tram, senza dubbio.
“ No Med, non possiamo sbatterti fuori dalla tua stanza” dice J mentre Bet gli tira un calcio. Io rido e rispondo:
“ Tranquillo J, meglio qualche dolorino che sentire B. che si lamenta per quattro giorni!”
“ Ok, mi sembra tutto sistemato” conclude Alex alzandosi dal bracciolo della poltrona e dirigendosi verso il bagno.
Io indirizzo il mio sguardo infastidito verso la sua schiena: che cafone. Il minimo che poteva fare era offrirsi di dormire in soggiorno al mio posto.
Bet e J cominciano a sistemarsi in camera ed io afferro il mio pc e mi posiziono sul bancone della cucina: apro lo schermo e inizio a scrivere.
Non penso. Scrivo e basta: racconto i miei pensieri ad un file che li custodirà e che non mi farà domande. E mi perdo nelle parole: sento i miei amici muoversi per casa, J uscire per andare da qualche parte e Bet lamentarsi per l'ennesimo esame da preparare. Ma io non li ascolto: scrivo e basta.
A volte mi perdo così tanto nella confusione di pensieri nella mia mente, che l’unico modo per tirarli fuori è scriverli. Lascio che le parole prendano vita e scorrano fuori dalle mie dita senza regole. Ma so che sono frasi sconnesse, senza un filo logico che faccia da guida a quell’insieme di lettere nero su bianco. Non li rileggo mai: credo che mi creerebbe quasi imbarazzo vedere cosa davvero penso. Come se quelle cose non le avessi scritte io. Come se non fossero frutto della mia mente.
Ho provato, in passato, a dare uno sguardo veloce a cosa avevo prodotto e, l’unico risultato è stato un forte senso di vergogna e un punto di domanda stampato in fronte.
Sembra quasi che, nel momento in cui le parole lasciano il mio cervello, non mi appartengano più. Quasi non fossero realmente proiezioni del mio inconscio, ma verità di una persona che non sono io. E allora l’istinto mi spingerebbe a cancellarle. A eliminare le prove del percorso di pensieri in cui mi ero trovata qualche istante prima.
Una volta qualcuno mi ha detto che chi scrive, quando inizia a buttare giù le parole, in realtà vuole esprimere un concetto totalmente diverso da quello che sarà il risultato finale. Ed è per questo che gli scrittori spesso non sono soddisfatti dei loro lavori. Perché non era il messaggio che volevano trasmettere. Non era la storia che volevano raccontare.
Non so se sia vero; non so se valga per tutti. Ma è una possibilità.
Quando il lampione sotto casa mia si accende, mi rendo conto che si sta facendo buio fuori e allora abbasso lo schermo del portatile e chiedo:
“ Ragazzi, che volete mangiare per cena?”
“ Quello che preferisci tu, Med. Ci affidiamo a te” risponde Bet da camera mia.
“ Primo o secondo?”
” Primo. Qualcosa di pesante e calorico! Ho fame, e J non ha l’occasione di mangiare bene molto spesso” ridacchia lei, consapevole della propria mancanza di abilità culinaria.
“ Carbonara va bene?”
“ Sì! Bona la carbonara!” strilla entusiasta e poi si rivolge a J “Sei contento, amore?”
Non sento la sua risposta, ma inizio comunque a raggruppare gli ingredienti necessari.
Mi accuccio alla ricerca di una pentola per la pasta, infilandomi dentro uno degli armadietti.
“ Sono invitato anche io a cenare con voi?” chiede Alex alle mie spalle. Spunta sempre fuori dal nulla, ma la cosa non mi stupisce: l'ho detto che è un demone.
“ Solo per questa volta. Solo perché abbiamo ospiti” rispondo inghiottita dal buco nero in cui tengo l’occorrente per cucinare.
“ Med, ti dispiace uscire di lì? Non è il momento di avere una conversazione con il tuo sedere” ride lui, avvicinandosi.
“ Peccato, perché è il massimo in cui tu possa sperare” ribatto restando immersa fino alla vita dentro la credenza.
“ Massimo nel senso che più grosso di così non può diventare?” scherza lui, ormai dietro di me.
“ Cosa?!” domando indignata e faccio un goffo tentativo di uscire dal buio in cui mi sono infilata. Ovviamente, visto che la mia coordinazione è pari a zero, nel movimento tiro una testata contro la parte superiore dell’interno del mobile. Dico qualche parolaccia e sento Alex ridere. Indietreggio un po’ ed estraggo buona parte di me stessa da quella trappola.
Quando posso considerarmi quasi libera, sbatto con poca grazia contro lo spigolo superiore dello sportello. E fa male. Molto male.
“ Dolore!” mi lamento, sedendomi sul pavimento e appoggiando la schiena all’armadietto accanto mentre mi massaggio la botta.
“ Mamma mia, quando sei maldestra! Fammi vedere...” constata lui e si inginocchia alla mia sinistra, prima di cercare di sfiorare il mio testone.
“ Non toccarmi, Belzebù!” ribatto con le lacrime agli occhi e muovendo la testa.
“ Smettila di dimenarti. Voglio solo vedere se sanguini!” ordina un po' scocciato e afferra il mio viso tra le mani per bloccarmi.
“ Così poi puoi succhiarmi il sangue da vampiro quale sei?” ringhio per protesta, guardandolo negli occhi. Mamma mia come sono belli con quelle striature più chiare attorno alla pupilla. E come brillano. Sembra che abbiano vita propria.
“ Un gran bel vampiro, però” bisbiglia lui sorridendomi.
Non rispondo e, con mio grande orrore, mi rendo conto le lacrime stanno iniziando a scendere. Ma perché piango? Non mi sembrava facesse così male.
“ Fa male?” mi domanda piano.
“ No, fa bene” sussurro con voce sarcastica.
“ L’avevo capito dalle lacrime. Credi di riuscire a non staccarmi un braccio a morsi mentre vedo se ti sei causata danni permanenti?” mi chiede, con voce divertita.
Io annuisco e lui lascia andare il mio viso, piegandomi la testa in avanti per vedere meglio.
“ Nulla di grave, non stai morendo. Solo un bel bernoccolo. Ci mettiamo un po’ di ghiaccio, così non sembrerà che tu abbia due teste” annuncia dopo l'ispezione e tornando a guardarmi negli occhi.
“Ok? Facciamo che tu ti siedi e la carbonara la faccio io? Non vorrei che ti affettassi le dita mentre grattugi il formaggio.”
“ Io sono brava in cucina” borbotto in modo puerile, abbassando il mento.
“ Non lo dubito. Ma immagino che tu sia più brava quando non hai una botta enorme che ti si gonfia sul retro della testa. Avrai altre occasioni per dimostrarmi che perfetta chef tu sia, tranquilla” dice tenendo la voce bassa e offrendomi l'ennesimo sorriso serafico, per farmi capire che non sta scherzando, poi si alza e continua:
“ Resta qui, ti prendo qualcosa dal congelatore.”
“ Perché sei così gentile con me? Stai cercando di entrare nelle mie grazie? Rinuncia, Alex. È fatica sprecata” rispondo seguendolo con lo sguardo, mentre si riavvicina e si riabbassa alla mia altezza. O bassezza, che dir si voglia.
Lui non risponde, ma ammicca con fastidiosa delicatezza e mi appoggia un surgelato sulla botta. Che scena poetica.
“ Che c’è di divertente?” chiedo indispettita dal onnipresente sorriso.
Non gli vengono i crampi alle guance a forza di usare i muscoli?
“ Forza, vai a sederti e non levarti la busta dalla testa!” conclude, evitando i miei occhi e sollevandomi per un braccio.
Io eseguo sospettosa e raggiungo Bet e J in salotto, sbuffando per una serie di motivi, tra cui il fatto che, ora che lui è stato civile con me, prima o poi io lo dovrò essere con lui.
“ E’ pronto?” domanda Bet, alzando la testa dal libro del suo prossimo esame.
“ Che ti è successo Med?” mi chiede J con gli occhi spalancati
“ Niente, ho dato ripetute testate alla cucina” dico lasciandomi cadere nella poltrona.
“ E il nostro cibo?” domanda Bet nel panico.
“ Ci pensa il figlio di Lucifero.”
“ Ohhhh, Alex” ride lei maliziosa.
“ Non dire nulla, B.” e chiudo gli occhi abbandonandomi alla stanchezza.
Tre ore dopo la testa mi fa ancora male. Sono sdraiata sul divano, nel buio, ma non riesco a dormire. Questo sofà è scomodo, è duro e punge. E poi non posso mettermi a pancia in giù.
Mi rigiro una decina di volte, guardo l’orologio e mi chiedo come facciano i miei coinquilini a dormire; in fondo è solo mezzanotte. Non dovremmo essere in giro a vivere come fanno i ragazzi della nostra età? Ma chi prendo in giro? Io non sono mai stata una viveur. Non mi ha mai entusiasmato girare per locali e ubriacarmi. Forse sono vecchia dentro.
Non so perché la mia mente divaga su L. Perché non riesco a dare un taglio netto a questa storia? Perché accetto di avere a che fare con lo schifo che lui mi offre?
È come quando mangi il cioccolato. Sai che ti farà male, che finirà tutto suoi tuoi fianchi, e che poi dovrai faticare per mandare giù l’adipe. Ma non riesci a fermarti. Tu lo devi avere fino a quando puoi. Non ti puoi far sfuggire l’occasione di assaporare quel cioccolatino.
Credo che il problema sia che io vivo nell’attesa di rivedere il ragazzo che mi ha abbindolata all'inizio. Non era la sua capacità oratoria, o quanto brillante fosse, o la sua cultura o il suo livello di intelligenza, che mi attraevano. Anche perché L non possiede nulla di tutto ciò. Non sa mettere insieme tre parole in forma corretta, è assolutamente incapace di sostenere una conversazione, non sa motivare le sue posizioni ed è talmente inconsistente che non ci si può avere una discussione di livello superiore a quella sul prossimo trucchetto per evitare un ostacolo. Il suo carisma è tutto fumo, è di un’ignoranza imbarazzante e di una povertà verbale e spirituale spiazzante. E non è nemmeno intelligente. E’ solo furbo. Ma furbizia non sempre è sinonimo di acutezza mentale. In questo caso non lo è.
Quello che mi piaceva di L durante il primo periodo, era come mi faceva sentire. Come mi trattava e mi parlava. Solo ora capisco che era una sceneggiata. Che era un trucco per incastrarmi. Ma ai tempi mi aveva dato un po’ più di sicurezza nelle mie capacità.
“ Med, perché non dormi?”
Mi volto verso il retro del divano e vedo Bet venire verso di me.
“ Potrei chiederti la stessa cosa” le rispondo rannicchiandomi per farle spazio.
“ Pensavi così rumorosamente che mi hai svegliata.” Ribatte accarezzandomi il braccio.
“ Hai voglia di dirmi che ti stava frullando in testa?”
“ Non lo so. A volte mi sembra che il mio cervello vada troppo veloce per capirlo.”
“ Perché non cominci a dirmi quella che ti stava divorando ora?” domanda infilando i piedi sotto la mia coperta.
“ L...” rispondo evasiva.
“ Ah, il brutto babbuino stupido” finisce lei per me.
“ Non ti piace proprio, eh?” le chiedo sollevando lo sguardo da un buchino nella trapunta.
“ No, non piace nemmeno a te, come puoi pretendere che io lo approvi? Non mi piace come ti tratta, non piace come ti fa sentire, e non mi piace che si approfitti del fatto che sei buona e disponibile. Tesoro, non spetta a me dirti che fare. E sai perfettamente che non mi piace esprimere pareri su L proprio per questo, ma credi davvero che sia una persona che può darti qualcosa di buono?”
Io esito un po’, torturo lo strappo nella coperta e poi gioco con il fondo del suo pigiama e, senza guardarla in viso dico:
“La settimana scorsa l'ho chiamato per parlare un po' e gli ho detto che ero particolarmente giù ma non sapevo bene perché.”
“ Mmh-hmm!” risponde lei annuendo
“ Sai, ho pensato che magari, per una volta potessimo parlare anche di me e dei miei problemi...”
Bet resta in silenzio, aspettando che continui.
“Lui si è limitato a interrompermi e a deviare la conversazione su di sè e sulla sua preoccupazione per i suoi problemi, cercando in me appoggio e conforto. So che L è un pirla, ma mi sarei aspettata qualche parola di più. Non lo so…non so cosa mi aspettavo” concludo chinando il viso e nascondendo la tristezza dietro una tenda di capelli.
Lei avvicina una mano e mi scosta una ciocca dal viso, poi mi sorride e dice
“ Forse ti aspettavi qualcuno che L non è. Tu sai cosa devi fare Med. Non sta a nessuno decidere per te. Tu hai già gli elementi per fare la tua scelta. Devi solo aspettare il momento in cui sarai davvero pronta ad accettarla.”
Io la fisso negli occhi per qualche secondo, lasciando che le sue parole vengano assorbite dalla Med dentro di me. La Med che ancora si deve convincere. E prendo atto del fatto che quando sarà pronta lei, lo sarò anche io.
Annuisco e ricambio il suo sorriso mentre lei mi abbraccia e si stende sul divano.
“ Forza, ora dormiamo. Devo studiare domani” dice, battendo la mano sullo spazio accanto a lei.
Io muovo la testa e mi lascio cadere sui cuscini. Stiamo strette e scomode. Ma lei sa che in questo momento, averla vicina conta di più di un sonno riposato.
In questo preciso istante mi sento al sicuro. E non mi sento sola. Ed è l’unica cosa che conta.
La mia mattina non è cominciata nel migliore dei modi. Da quando mi sono svegliata quella lumaca narcisista che mi hanno assegnato come coinquilino ha invaso il bagno e non sembra dare segni di vita, ragion per cui cerco disperatamente di tenermi occupata e di distrarmi preparando la colazione, nel vano tentativo di non farmi pipì addosso.
"Uomo dell'hamburger, se non esci da quel bagno entro tre minuti ti avviso che ti faccio la pipì sul letto!" strillo dalla cucina e mi compiaccio della scorrettezza che mi scorre nelle vene già di prima mattina. Sono veramente portentosa.
Sorrido soddisfatta e mi metto ad imburrare una fetta di pane mentre aspetto che il caffè sia pronto e sento le voci di Bet e J che si avvicinano alle mie spalle.
"Oh, gli innamorati..." sorrido mentre loro entrano in cucina.
La mia amica è ancora in pigiama, il che mi fa intendere che passerà la giornata a ripetere. Il suo ragazzo, invece, è già pronto per uscire.
Quando mi volto per salutarli, vedo che entrambi si bloccano e i loro volti assumono un'espressione di stupore: restano in quello stato qualche secondo, e io inclino la testa di lato per cercare di capire che cosa abbia attirato la loro attenzione.
"Ho della marmellata sulla bocca?" domando allora con curiosità e Bet deglutisce a fatica e, per un istante sembra sul punto di dirmi qualcosa. Poi però J si schiarisce la voce e, sorridendo, mi risponde.
"No, no, niente marmellata."
"Perfetto. Buongiorno, giovani cuori in amore."
“ Buongiorno a te, cicciona!” mi risponde Bet afferrando la moka e versandosi il caffè.
“ Perché in questa casa pensate tutti che sia grassa?” chiedo offesa.
“ Per due ragioni: la prima è che non sei proprio un’acciuga; e la seconda è perché dormire sul divano con te è stato terribile” brontola lei, aggiungendo il latte nel caffè.
“ Oh, va bene signorina Slim Fast, allora la prossima volta cercherò di pressarmi di più”
“ Brava!” replica la mia amica in uno sbadiglio e dandomi degli strani colpetti sulla testa.
"Che stai facendo?" le domando cercando di scacciare la sua manina tozza, ma lei non si arrende e persevera nel picchiettamento.
"Non fare domande. Lo faccio per il tuo bene." risponde semplicemente Bet prima di leccarsi un pollice e avvicinarlo pericolosamente alla mia faccia.
"Ti sei fatta una canna? La tua saliva sulla mia pelle delicata non ce la metti" mi ribello io scappando dall'altro lato del bancone.
"Med, fidati.."
"Col cazzo..."
E iniziamo una sorta di danza della fuga dal pollice sbavato prima che questo delicatissimo momento venga interrotto dalla risatina di J che, infilandosi il giaccone, richiama la nostra attenzione.
“ Voi due non siete normali, lo sapete vero?”
“È lei che è una stupida malfidata." borbotta Bet additandomi come se fossi una criminale ed io rispondo dandole una spinta leggera.
"Malfidata? Vorrei ricordarti che tu sei quella che periodicamente mi mette il dentifricio sotto il naso mentre dormo per vedere se mi farò la pipì addosso!"
"È una ricerca scientifica. Lo faccio per il bene dell'evoluzione umana. Voglio capire se è solo una leggenda metropolitana e tu dovresti immolarti per la causa."
"Lo so io dove ti immolo, tu e la tua stupida testa bionda."
La risata genuina di J ci distrae nuovamente dalla nostra discussione, Bet smette di darmi importanza e, con lo sguardo disgustosamente innamorato, si allontana da me.
"Esci già, Amo’?” gli chiede Bet raggiungendolo alla porta d’ingresso.
“ Sì, devo correre in università. Ma ti chiamo dopo, ok?”le risponde lui chinandosi e dandole un bacio.
“A stasera.” Lei lo incontra a metà strada, facendo schioccare le labbra sulle sue e sorridendogli. Poi gli accarezza i capelli e lo spinge gentilmente fuori di casa.
“Vi supplico, non cambiate mai voi due !” sento che grida lui scendendo le scale e andandosene.
“ Ciao J, buona giornata” ricambio io ridendo mentre Bet richiude la porta e torna a sedersi sullo sgabello della cucina.
Io la raggiungo, timorosa che la nostra lotta non sia del tutto terminata quando la porta del bagno si spalanca (finalmente) e la voce di Alex mi saluta con un:
"Allora? Hai compiuto atti di vandalismo in camera mia, Scintilla?"
Sospiro e mi volto per rispondere come si deve e sento Bet che suggerisce alle mie spalle di non farlo assolutamente, ma io scelgo di ignorare quella donna dai pollici insalivati e porto gli occhi sul mio coinquilino. Per onore di cronaca specificherò che l'incivile ha l'ardire di mostrarsi in nostra presenza a petto nudo, col capello tutto spettinato e goccioline di acqua che cascano di qui e di là.
Suppongo che, se non mi stesse così sulle palle, in questo momento considererei l'ipotesi del limone duro: invece penso solo che questo tizio sta sgocciolando su metà del nostro parquet.
"Oddio Med, che cosa cazzo hai fatto?" domanda invece lui con un evidente accenno di panico nella voce.
E adesso che c'è?!
"Perchè?"
"Cosa è successo alla tua faccia?" insiste lui, ora indicando il mio viso e sgranando gli occhi
"Cosa è successo alla mia faccia?" chiedo a questo punto io, investita da una scarica di terrore.
E se ho subito una mutazione? O magari ho avuto una reazione allergica alla bava di Bet! Già non ero una gran gnocca, se poi muto, sono a posto.
I due ragazzi con cui mi trovo in casa in questo momento tacciono per quelli che sembrano i secondi più lunghi della storia e io strillo angosciata:
"Che cosa è successo alla mia faccia?!"
Alex lascia cadere una mano lungo il fianco, inclina di lato la testa e mi osserva con grandissima attenzione, aggrottando la fronte e aguzzando la vista:
"Sembra che un elefante con il sedere sporco ti si sia seduto sopra, credo."
Un campanello di allarme inizia a squillare insistente nella mia testa e mi muovo come il suddetto elefante per spintonare Alex via dalla porta del bagno e raggiungere uno specchio per verificare le condizioni del mio - una volta piacevole - viso. E, con mio orrore, scopro che stamattina sono bellissima. I miei capelli hanno assunto la forma di una frittata verticale, con una sorta di oasi spiaccicata all'altezza del cervelletto, stile cerchi nel grano. Ieri sera non mi sono struccata e l'esito è uno splendido decoro nerastro che si estende verso le mie tempie e che potrei tranquillamente spacciare per henné e, in ultimo, avendo tentato di dormire sul divano con Bet, sul lato sinistro della mia faccia si stagliano gloriose una serie di linee rosse che, stranamente, hanno proprio la forma dei decori dei cuscini che mi ha regalato mia madre. Come dicevo, dunque, sono un fighino da competizione.
Resto imbambolata a fissare la mia immagine riflessa per un minuto, poi urlo rabbiosa il nome della mia amica che, con indifferenza, mi raggiunge e mi domanda:
"Allora, che programmi hai per oggi?"
"Bet, ma perchè non mi hai detto come ero ridotta?"
"Senti, io ho provato a renderti presentabile ma tu ti sei ribellata..."
"Tu volevi ricoprirmi di sputo!"
"Era un gesto materno, ingrata."
E con aria scocciata se ne torna a fare colazione in solitudine: seguendola vedo Alex sghignazzare e dirigersi verso camera sua, perseverando nella fastidiosa azione di sgocciolare sul parquet.
"Comunque, dopo che ti sarai levata tutto quello schifo dalla faccia e io mi metterò a studiare, tu che farai?" si informa Bet, masticando con poca eleganza una fetta biscottata.
"Suppongo che andrò a fare la spesa: il frigorifero è vuoto e ci sono più bocche da sfamare qui dentro. Speravo mi avresti accompagnata..." spiego mentre mi specchio nel vetro del forno a microonde e lego i capelli con un elastico tutto sfilacciato. Almeno quel problema l'abbiamo risolto.
"Non posso proprio, tesoro. Sono indietro di almeno due libri" e, alla sua risposta, non riesco a trattenere un piccolo broncio al quale lei risponde sorridendo teneramente, "Oh, su avanti! Ce l'ho io la soluzione alternativa!"
E io sorrido deliziata. Stupida ingenua!
Bet salta giù dallo sgabello e corre verso la zona notte per poi fermarsi davanti alla stanza di Alex.
Oh, no! Per quanto è vero che sono nata magra, no! Non sta per fare quello che io penso stia per fare!
"Alex?" domanda con voce stucchevole alla porta chiusa e sento lui rispondere dall'altra parte.
"Bet, no!" sibilo tra i denti, raggiungendola.
"Avrei bisogno che accompagnassi Med al supermercato a fare la spesa. È un problema?"
"Brutta donna dalla testa periforme, giuro che questa me la paghi." mugolo a denti stretti e dandole un pizzicotto sul braccio giusto prima che l'insopportabile sorriso di Alex spunti da dietro la porta.
"Come potrei rifiutarmi..." sogghigna lui compiaciuto, spostando gli occhi su di me e aggiungendo: "Restaurati roomie, ti porto al supermercato."
Ma porca di quella cotoletta!
Con la tensione che mi attraversa il corpo mi infilo nel bagno e cerco di sistemare, per quanto possibile, il Picasso che adorna i miei lineamenti prima di uscire di casa e raggiungere quel luogo meraviglioso che è l'Esselunga. Alex non la pianta di ridere per tutto il tragitto e trova incredibilmente esilarante la mia presa di posizione che consiste nel non rivolgergli la parola e fingere che non sia lì.
Varcando le porte del supermercato, mi volto e, porgendogli un euro per il carrello, affermo con voce secca:
"Nel caso non l'avessi intuito, tu sei qui solo ed esclusivamente per aiutarmi a portare le borsine."
"Sei sempre così dolce. Non possiamo fare un po' di conversazione mentre facciamo scorte per il nostro nido d'amore?"
"Alex, c'è un limite alla tua stupidità o sarò costretta a sostenere la molestia della tua voce a lungo?"
Lui non risponde ma ammicca ripetutamente mentre si allontana.
Io lo guardo e alzo gli occhi al cielo. Non voglio fare l'ipocrita: il ragazzo ha senza dubbio un piacevole didietro ed è pure belloccio. Forse non è esattamente il mio tipo - anche perché a me, di solito, piacciono bruttini e un po' Biafra - ma è senza dubbio un esemplare di maschio che buona parte della popolazione femminile non disdegnerebbe.
Se non fosse per quella irritante personalità e per il fatto che ha scelto di occupare metà del mio appartamento: questi sono due enormi difetti che mi rendono difficile l'idea di imparare a tollerarlo.
E poi ha l'occhio bionico scrutante. Quello è forse la cosa che più mi altera: probabilmente perché, al momento, io ho milioni di cose che gradirei tenere nascoste e Mr. Curiosity continua a fare lo scanner della mia anima ogni volta che mi distraggo.
Io non posseggo lo stesso superpotere, quindi ho il diritto di maltrattarlo.
"Andiamo?" chiede facendo ritorno col suo carrello tutto storto (il fenomeno non sa neppure procurarsene uno che non tiri tutto a destra ogni volta che fai due passi) e indicandomi il reparto frutta.
Io non rispondo e mi incammino verso le mele, determinata a interagire il meno possibile con il mio coinquilino e pregando che ci sia poca gente alla cassa una volta che avrò terminato i miei acquisti.
Mezz'ora più tardi sono ferma immobile di fronte ad una infinita sfilza di preparati per dolci e contemplo quale marca mi offra il miglior rapporto qualità-prezzo: sono una studentessa fuori corso, disoccupata e che ancora fa affidamento sulla famiglia d'origine per il proprio sostentamento. Il risparmio è un dovere, non un'opzione.
Alex, che a questo punto ha rinunciato a ricevere risposta alle inutili domande che mi rivolge nel tentativo di intavolare una conversazione, se ne sta piegato sul carrello, con i gomiti appoggiati sul manubrio, le mani intrecciate e una postura che urla disperazione.
Io lo ignoro.
"Med, ti prego, ti dai una mossa? Non è una decisione difficile: sono tutti preparati uguali. Fanno schifo allo stesso modo!"
Io sventolo una mano nella sua direzione per fargli comprendere che non sono interessata al suo parere e poi afferro due scatole che recano la scritta muffin. Bet ama i muffin.
Cercando di essere il più lenta possibile, leggo attentamente tutte le scritte superflue che sono stampate sulle confezioni e, con mio piacere, vedo Alex dare segni silenziosi di insofferenza.
Sicura di avergli arrecato sufficiente disagio, opto per la marca che dichiara "Real American Blueberry Muffin" e la lancio nel carrello, pronta a dirigermi verso la sezione formaggi.
"Questa porcheria in casa mia non ci entra." dichiara, però, il ragazzo alle mie spalle e, per la dodicesima volta nello spazio che va dal reparto frutta a quello colazione, mi trovo a non riuscire ad impedire ai miei occhi di roteare verso l'alto.
"Che c'è che non va in quel prodotto?!" domando scocciata, pentendomi all'istante di avergli rivolto parola.
"Questi non sono veri blueberry muffin americani." ribatte lui impugnando la scatola e riponendola sullo scaffale.
"E chi lo dice?" protesto dunque io, recuperando il preparato e gettandolo nuovamente nel carrello.
"Lo dico io!"
"Ma cosa vuoi saperne tu..." borbotto e, all'inarcarsi dei un suo sopracciglio, resto con la bocca aperta e con la battuta a mezz'aria.
Merda! Alexander, Med. Alex è americano.
"Senti, se ci tieni tanto a mangiare i muffin te li faccio io, ma questa roba non la compriamo. Punto."
"Io non voglio niente da te." rispondo cocciuta. Io voglio il mio preparato per muffin: lo voglio essenzialmente perchè lui non lo vuole.
"Finiscila, Med. Ho detto no."
Ah, il capo ha detto no? Ma te lo somministro io il no, cretino.
"Chi sei, mio padre?"
"No, sono quello che paga metà della spesa."
"Ecco, io avrei da ridire su questa cosa. Non capisco perchè tu non ti puoi fare la tua spesa e io la mia, come fanno tutti i coinquilini del mondo."
Ora quello che non risponde è lui e, spingendo il carrello, se ne va, dirigendosi verso una nuova corsia.
Io recupero i miei Real American Blueberry Muffin e lo seguo, arrendendomi. Più o meno.
Mentre cammino dietro di lui una domanda balena all'improvviso nella mia mente e non riesco a trattenerla.
"Di dove sei, Alex?"
Il mio quesito sembra stupirlo per un attimo, poi mi guarda e sorride:
"Cleaveland, Ohio."
Non sono mai stata in Ohio. Non sono neppure sicura ci sia qualcosa di interessante da vedere in Ohio. Chiaramente Alex non poteva venire da qualche fascinosa città come Chicago o Buffalo, da cui, quantomeno, si possono raggiungere le cascate del Niagara.
Vorrei esprimergli il mio disappunto per non avermi detto che, invece, veniva da New York, quando mi accorgo dello sguardo perso e vagamente riflessivo che decora i suoi occhi e, forse posseduta dall'essenza del saccarosio dopo aver soggiornato troppo a lungo nella corsia dei dolci, mi trovo a domandargli:
"Ci sei più tornato da quando vi siete trasferiti?" Lui sembra ricordarsi di me solo al suono della mia voce e agita impercettibilmente la testa, prima di rispondere di no. "Non ti manca?"
Med, che razza di domande fai? Ma soprattutto, perché le fai? Lui accenna il fantasma di un sorriso e ammette di sì. "Ogni tanto. Mi piace stare qui, non fraintendermi, però, onestamente, casa mia quasi non me la ricordo più."
Occhi da Pokemon, occhi da Pokemon, mi ripeto insistentemente in testa, sperando che anche le mie orbite inizino a sberluccicare come fanno le sue quando fa l'impiccione, e invece niente; i miei tutt'al più hanno l'effetto panda, che non sembra servire a niente, dato che il mio coinquilino ha ricominciato a camminare e a spingere il carrello mezzo pieno. Ma io sono improvvisamente assetata di informazioni. Non so perché, ma sospetto che abbia qualcosa a che fare con la strana espressione che ha mostrato qualche minuto fa. E io ora sono curiosa. E penso anche di averne diritto: posso sapere se vivo con uno psicotico serial killer americano, no?
"Perchè siete venuti qui?" strillo alle sue spalle senza rendermene conto, e una decina di paia di occhi si piantano sul mio faccino paonazzo, inclusi quelli di Alex che lasciano trapelare una buona dose di imbarazzo.
"Parlavo con lui..." mi giustifico con un sorriso insicuro e poi raggiungo il mio spingi-carello-porta-spesa. "Allora?" lo incalzo, sperando di ottenere una risposta nonostante l'evidente disagio che trasuda dalla sua postura, ma veniamo interrotti da una gracchiante e acuta voce dietro di me che urla in modo isterico:
"ADRIANA!" Io sobbalzo per lo spavento e mi giro nella direzione della voce, restando con la punta della scarpa incastrata nel carrello e traballando verso Alex che, senza fare una piega, mi rimette in posizione verticale con una mano e osserva la fonte dello strillo. A due passi da me compare una vecchietta tanto tenera, all'incirca venti centimetri più bassa di me e che mi ricorda tanto Serenella de La Bella Addormentata nel bosco- trent'anni dopo. Ci fissa severa e con le mani sui fianchi tondeggianti mentre la borsa le penzola lungo una gamba e i piccoli occhiali rotondi le scivolano sulla curva del naso; e i suoi occhi puntano proprio a me!
"Adriana! Cosa ti avevo detto?"
Chi cazzo è Adriana? Sono io?
Guardo Alex per capire se sto avendo un'allucinazione ma, dalla sua espressione, direi di no.
"Non si corre via dalla nonna, per andare a fare sconcerie con i ragazzi, per di più!"
Io non ce l'ho più la nonna. E non faccio sconcerie in pubblico da quando avevo quattordici anni.
Alex sopprime una risata e la signora si avvicina alla mia faccia e mi sventola sul naso un ditino tondo che reca uno smalto perlato: "Adriana, rispondimi!" e io deglutisco, sorridendo. "Si-Signora, io non sono Adriana..."
Lei mi osserva per qualche secondo e poi sembra recuperare la lucidità. Lascia cadere il braccio lungo il corpo e, d'improvviso, sembra smarrita. Io mi scambio un'occhiata veloce con il mio coinquilino e poi richiamo l'attenzione della donna su di me.
"Si sente bene?" Lei mi guarda e accenna un sorriso per nulla convincente prima di rispondere. "Certo. Ora andiamo a casa, Adriana?"
Ancora? Io non mi chiamo Adriana!
"Signora, credo ci sia un errore..." "Quello sfrontato è il tuo fidanzatino? Che cosa ti ho detto sui ragazzi? Non devono entrare nel tuo prato e impollinare il tuo fiore!
Oh, con calma. Qui nessuno impollina niente. E soprattutto non Alex.
"Signora, io glielo dico che non dobbiamo fare certe cose, ma lei insiste..." interviene quel demente accanto a me con un'espressione deliziata. "Che cosa?!"
Ecco, ora le viene un colpo apoplettico perché Alex le mente sulle abitudini della mia vagina.
"No, signora si calmi. Qui nessuno entra nel mio prato." poi sposto la mia attenzione su Alex e sussurro "Cretino, credo che la signora si senta male. Una vecchietta è in preda alla pazzia e tu ci scherzi?" "Non scherzavo con lei, scherzavo con te." "Ah, non mi è sembrato proprio. Che facciamo? Non possiamo lasciarla qui." "Sei tu Adriana. Trovala tu la soluzione."
Sbuffo e gli vorrei tirare un ceffone ma temo che la signora mi potrebbe mettere in castigo gridandomi "giochi di mani, giochi di villani", quindi mi limito a cercare di far girare gli ingranaggi del mio cervello. No, niente. Non so che fare.
"Finisci la spesa, io la accompagno al banco informazioni..." ordina Alex sospirando e, prima che io possa protestare, si avvicina dolcemente alla vecchietta e le sussurra qualcosa che io non sento, per poi allontanarsi e mollarmi lì come una scema a contemplare se sia il caso di cambiare il mio nome in Adriana.
Quando sono in coda alla cassa, annoiandomi a morte nell'attesa che la cassiera finisca di combattere con la macchinetta delle carte di credito che si rifiuta di accettare il pagamento del tizio prima di me, il mio cellulare vibra nella mia scadente borsa a tracolla per indicarmi che ho ricevuto un sms: dopo una faticosa operazione di recupero, riesco ad estrarlo e faccio scorrere il dito sullo schermo per leggere il messaggio.
Qui la cosa va per le lunghe. Torna pure a casa. Io trovo il modo di riportare a casa la tua cara nonna. Alex.
Fisso la scritta per una manciata di secondi e poi comincio a guardare attorno a me, alla ricerca del mio coinquilino; poi lo vedo appoggiato al bancone dell'ingresso che chiacchiera con fare civettuolo con la responsabile delle informazioni.
Che porco...
Alzo gli occhi al cielo per l'ennesima volta e poi mi arrendo alla presa di coscienza che mi toccherà scarpinare fino a casa carica come un mulo. Ed ecco che il ragazzo perde anche l'unica utilità che avevo scelto di vedere in lui.
SI CONSIGLIA PAUSA PIPì PRIMA DI PROCEDERE CON LA LETTURA
Quella
sera, dopo che Bet si è cortesemente offerta di aiutarmi a sistemare la
spesa - e nel processo è riuscita a ingurgitare 2 Camille e una scatola
di tonno (sì, lei le mangia così, col cucchiaio) ogni volta che mi
distraevo - decidiamo di concederci un'ora di relax insieme,
ingozzandoci di Ringo e godendoci una puntata di uno dei telefilm che,
al momento, attraggono maggiormente il nostro interesse: One Tree Hill.
“ Ma quanto sono teneri Haley e Nathan? Comunque io proprio non capisco come Lucas e Brooke possano lasciarsi dopo, si amano così tanto!” si lamenta Bet mentre spegne la tv.
“ Forse perché l’amore non basta?” chiedo stiracchiandomi prima di alzarmi in piedi e andare a caccia delle mie Silver.
“ Ma perché devi sempre essere cinica e distruttiva?” mi domanda lei con una nota di disappunto nella voce. Me lo dice sempre che sono fastidiosa, ma io non lo so controllare.
“ E’ la mia natura. Noi ragazze single e non desiderate cerchiamo sempre una giustificazione alla nostra solitudine” le sorrido infilandomi le scarpe.
“ Ok, me ne devo andare, L mi aspetta...” continuo legandomi i tristi capelli in una roba che chiamo coda. Lei mi guarda insicura e poi sospira, delusa.
“ Sì, lo so, lo so. Ma non tutte troviamo l’uomo della nostra vita a ventun' anni, Bet.” mi giustifico con un sorriso forzato e afferrando il cappotto.
“ Non ho detto niente. Va, divertiti, per quanto ci si possa divertire con L, e usa sempre il preservativo” mi raccomanda.
Io rido e, uscendo, dico: “ Ovviamente, il sesso sicuro al primo posto. E poi vorrei risparmiare al mondo la sua progenie!”.
Mentre cammino per strada osservo le persone che mi passano accanto. È buio e fa freddo ma, nonostante tutto, mi viene da sorridere.
È come se io avessi un passo molto più lento di tutto ciò e chi mi circonda. Come se avessi una visione privilegiata delle cose attorno a me in questo momento e fossi l’unica in grado di notare i particolari. Loro si muovono; guardano ma non vedono. La loro mente è troppo impegnata a pensare. Io invece, grazie al mio trucco di bloccare tutto fuori, non immagino nulla. Assorbo solo le informazioni che il mondo mi passa in questo istante.
E tutto ciò mi fa stare bene. È come se mi venisse offerta la possibilità di vivere per qualche secondo in una vita diversa da quella che devo imparare a gestire. Come se chi sono, cosa faccio e sento, in questo minuscolo frangente di tempo, non avesse alcuna importanza. L’unica cosa che conta è l’odore dell’aria, più pungente e più fresco del solito. I colori, rumori e movimenti del traffico, tanto banali da affascinare nella loro ripetitività. Le espressioni della gente sono quelle che mi vanno più sotto pelle.
Adoro immaginare o cercare di indovinarne i perché. Osservare il volto di un estraneo per una frazione di secondo e inventarne la vita. Fingere di sapere perché qualcuno sorride o perché ha l’aria di chi, come me, ha perso la chiave che apre il lucchetto della propria esistenza. C’è chi sembra felice, e di quella persona vorrei rubare il segreto, vorrei fermarla e chiedere come fa, implorarla di insegnarlo anche a me.
Chi fa di tutto per trattenere le lacrime, così sconfortato da farmi venire voglia di abbracciarlo. Chi controlla la rabbia e la frustrazione accumulate. Chi sogna senza fare a caso a dove va.
È bello vederli camminare nella vita, sopravvivere come si riesce, perché è questo che facciamo tutti. Cerchiamo la nostra verità; quella verità che permette di sopravvivere a modo nostro ed andare avanti.
Sono praticamente arrivata a destinazione, e mi viene da sorridere quando vedo due ragazzi che si baciano. Sono stretti l’uno all’altra, lui preme la schiena di lei contro la porta, mentre cerca di infilare alla cieca la chiave nella serratura, senza rompere mai il bacio. Continuo a guardarli, schiavi di chissà quale passione o voglia, mentre mi avvicino sempre di più. E quando ormai sono a una decina di passi da loro mi fermo.
Mi blocco e sento che le orecchie mi si tappano. Il mio sguardo fisso sulle spalle di lui. Di questo lui, che fa scorrere affamato le mani sulla lei senza volto. Ma lui un volto ce l’ha. Non ha bisogno di voltarsi e mostrarmelo. Conosco bene quella schiena, come conosco bene quel corpo.
E ancora meglio conosco quel giubbotto. Gliel’ho regalato io due Natali fa.
E in questo preciso istante mi rendo conto che quando le mie amiche hanno deciso di soprannominare questo ragazzo L, sono state anche troppo benevole.
Non so per quanto tempo resto ferma sull’altro lato della strada a fissarli. Nella mente mi scorrono mille immagini, nelle orecchie risuonano i te l’avevo detto di chi avrebbe tutto il diritto di dirmelo.
Vorrei urlare, ma le mie corde vocali sembrano non saper vibrare. E la cosa peggiore è che non posso urlare. Non posso picchiarlo. Non posso dirgli nulla. Ed è solo colpa mia.
Non ho nessun diritto come fidanzata. Perché non sono la sua fidanzata.
Sono solo un’amica con cui va a letto. Ed è colpa mia perché ho accettato questa condizione. Posso prendermela solo con me stessa se, adesso che lo vedo baciare un’altra, non ho diritto di spaccargli la faccia. I ruoli sono sempre stati chiari: il fatto che io fingessi di essere l’unica con cui stava, è esattamente il motivo per cui ora mi sento una lama nello stomaco.
Mi volto lentamente e ricomincio a camminare verso casa. Qualche metro più in là sento il rumore del portone che sbatte, indice del fatto che sono riusciti ad entrare, e penso che, tra poco, nel suo letto, al posto mio, ci sarà lei.
E per la mia stupidità, non ho voce in capitolo.
Mi muovo a rallentatore, cercando di prolungare la strada che mi ricondurrà al mio appartamento: sembro uno zombie mentre i miei piedi si spostano per inerzia.
E in questo momento, probabilmente, qualcuno che mi incrocia sul marciapiedi, sta facendo il mio stesso gioco. Sta cercando di immaginare perché sul mio viso è scolpita la faccia della delusione e della consapevolezza.
Mentre mi avvicino a casa inizia a piovigginare. Quella pioggia leggera e fastidiosa.
L’unica cosa che mi protegge è il sottile cappuccio della mia amata felpa verde, ma quella non può aiutare a riparare quel cuore e quell'orgoglio che hanno incassato l'ennesimo colpo. Non basterebbero mille felpe per custodire l'ultimo frammento di amor proprio che credevo di aver conservato: sono stata la carnefice di me stessa quando ho scelto che, stare male con lui, era meglio che stare male senza di lui. Ed ora che lo stare male con lui si è trasformato nello stare male con me stessa, rivoglio indietro il mio tempo; rivoglio la mia saggezza, rivoglio l'occasione di tornare indietro e decidere che no, io non sono una ragazza da scoparsi quando gira a lui. Non lo sono mai stata.
Salendo le scale cerco di capire quanto tempo sono rimasta fuori. Ma è inutile, non lo so quantificare.
Apro la porta di casa e mi accorgo che dentro è tutto spento: c’è solo tanto silenzio. Forse è tardi e dormono già tutti. Forse non sono ancora rientrati.
Non lo so e non mi importa.
Mi levo le scarpe e mi sdraio sul divano senza togliermi nemmeno i vestiti inzuppati. Non ne ho voglia. Non ne ho la forza. Mi alzo la coperta fino al mento e chiudo gli occhi.
Non voglio piangere perché sarebbe come regalargli quell'ultima oncia di me che ero riuscita a conservare, eppure gli occhi pizzicano in modo insopportabile: è forse delusione? O è semplice e banale dolore? Quel dolore degli innamorati di cui parlano sempre tutti.
L'amore è sofferenza, dicono. Beh, io questa sofferenza non la voglio. Non ho bisogno anche di questa. E poi quello che provo verso L non è amore.
E allora capisco che, forse, questo dolore non è per lui; è per me. Soffro per quello che ho fatto a me stessa per lui: ed è lì che tutto si trasforma in rabbia.
Stringo un pugno attorno alla trapunta e cerco di sfogare il rancore.
L’odio verso un ragazzo che non merita di sfiorare il mio dito mignolo.
L’ira verso me stessa e la mia stupidità.
Tra i miei pensieri confusi e la vista che comincia ad appannarsi di lacrime - che non voglio lasciar scorrere -, non mi accorgo nemmeno del rumore di una porta che si apre.
Poi una voce calda mi chiede “ Med?”
È Alex. No, cazzo, non Alex!
Io non mi volto. Resto ferma cercando di controllare il respiro e sperando che, per una volta, si faccia gli affari suoi e se ne vada; chiaramente non sono così fortunata.
“ Med, che ti è successo?” mi domanda appoggiandosi allo schienale del divano per essere più vicino. Io continuo a tacere e a respirare il più profondamente possibile per ricacciare le lacrime da dove sono venute.
Lui aggira il sofà e si accuccia di fronte a me.
“ Ti senti bene?” mi sussurra scostandomi una ciocca zuppa di pioggia dal viso.
“ Direi di no” bisbiglia fissandomi i capelli dietro l’orecchio e io tremo appena.
Oh, perché si allarga? Al momento la mia capacità di intavolare un battibecco con lui è andata a correre la maratona di New York. E il suo superpotere della lettura dell'anima, unito alle mie difese abbassate, sono un mix terribile.
Annullare la missione. Annullare la missione. Recuperare il controllo e rispedire demone dallo sguardo languido da dove è venuto.
Io lo guardo negli occhi ma non parlo. Gli arriva la mia richiesta di andarsene?
“ Bet ha detto che eri dal tuo amico non molto simpatico” dice piano. Io annuisco e i suoi occhi si muovono sul mio viso sempre più intensamente, cercando di leggermi dentro; ora però non ho davvero voglia di combattere.
“ Sei tutta bagnata, Scintilla. Non puoi dormire così.”
“ Perché no?” borbotto io, arricciando il naso e strofinando un polso su un occhio nella speranza di far passare il bruciore causato dalle lacrime che continuano a minacciare di cadere.
“ Perché mi inzupperai il divano” scherza lui “ e perché, se ti viene il raffreddore, russerai ancora più forte”
“ Ok.” rispondo senza pensare a ciò che dico e senza accennare il minimo movimento.
Mi sento come se qualcuno mi avesse staccato la spina e all'improvviso avessi perso la capacità di essere me stessa. Oppure adesso la solita me stessa si è stancata di proteggermi ed è andata a raggomitolarsi in un angolo pacifico di me, lasciando la parte più cretina di Med a gestire il tutto. Beh, questa Med sta fallendo su ogni fronte.
“ Che ne dici se stanotte il divano lo prendo io?” mi bisbiglia tenendo saldo il sorriso e alzandosi in piedi.
“ Io non voglio dormire sul pavimento!” ribatto, contemplando l'idea di un incontro ravvicinato con il mio parquet impolverato.
Lui trattiene una risata e risponde:
“ Non era esattamente quello a cui avevo pensato.”
“ Oh. E cosa avevi pensato tu?” chiedo tirando su col naso e cercando - con scarsi risultati - di mettermi a sedere in modo vagamente femminile.
“ Su, alzati.” mi dice prendendomi le mani e cercando di tirarmi, fingendo che il mio galattico culo non stia opponendo resistenza. Lo scruto qualche attimo e poi decido che non è carino da parte mia costringerlo ad alzare proprio tutto il mio peso e allora collaboro e lascio che mi aiuti a sollevarmi.
“ E ora?” domando confusa. Lui ride.
“ E ora vai in camera mia.” afferma lui indicandomi la sua porta.
“ Perché?”
“ Perché sì. Dai, scintilla, non fare tante storie.” e mi prende per un polso, conducendomi verso la stanza.
“ Alex…” sussurro quando siamo sulla soglia “ perché lo fai?”
“ Perché sì. Perché devi sempre fare tante storie? Sto cercando di essere una persona gentile, per una volta...” mi mormora, fermando una lacrima lungo il mio viso, con il pollice. E quella da dove è sbucata?
"Vorrai in cambio la mia anima, come minimo." protesto con voce asciutta e deglutendo a fatica. Forse ho mandato giù un po' di senso di colpa?
"Come si fa a farti smettere di protestare? C'è un modo? Non puoi semplicemente accettare l'offerta e basta?"
“ Ma tu non mi conosci, io sono un’estranea” dico confusa.
“ Sei anche la mia coinquilina” risponde lui sorridendo
“ E allora?”
“ Ma tu fai sempre tutte queste domande?” mi chiede ridendo.
“ Sì.” rilancio perdendomi nei suoi occhi.
Lui scuote la testa e mi spinge dentro la sua stanza, che profuma di qualche bizzarra spezia. Io lo lascio fare.
"Camera tua sa di femmina." constato voltandomi nella sua direzione e lui scoppia a ridere.
Ma che si ride sempre?
“ Dove sta quella cosa che usi per dormire e definisci vintage?”
“ Nel bagno.”
“ Vai a mettertelo...“ mi comanda dandomi le spalle e iniziando ad armeggiare con qualche cosa sul letto.
Vorrei dirgli che non accetto ordini dagli stronzi, ma in questo momento mostra accenni di umanità, invalidando il mio diritto alla scortesia, quindi faccio come dice, indossando il mio pezzo forte notturno - composto da un pantalone con fantasia militare, rigorosamente felpato, abbinato ad una casacca extra-large che reca la faccia di una mucca sul davanti e, lascio a voi intuire cosa, sul di dietro: però ha in più l'impareggiabile particolare della coda attaccata sul retro che si può muovere ed alzare. Pigiami così impazzavano negli anni '90: l'abbinamento con la parte inferiore, però, è tutta roba mia. Lo faccio per dare un tocco di personalità.
Nella vestizione non ho neppure acceso la luce e, velocemente, torno in camera di Alex, muovendomi nel buio. Sono Occhi di Gatto.
Quando entro nella stanza lui si volta verso di me e storce il naso non appena prende atto del mio outfit per la notte.
Medito di rispondergli per difendere il mio pigiamino ma, d'improvviso, mi torna in mente l'immagine di L con quella ragazza e Alex e la sua opinione sul mio guardaroba tornano ad essere irrilevanti.
Sento gli occhi ricominciare a pizzicare e temo che questa volta non riuscirò a fermare quelle sciocche lacrimucce.
“ Che strano, sembri quasi piccola in questo momento” mi dice lui sorridendo.
“ Sei uno stronzo” rilancio avvicinandomi al letto.
“ E tu sei una ragazza molto scurrile” il suo sorriso si fa più grande mentre mi scosta il piumone per farmi entrare.
Io mi raggomitolo sul materasso e mi copro in fretta. Appoggio la testa sul cuscino, lui mi fa l’occhiolino e si dirige verso l’uscita.
“ Alex..” lo fermo io e la saggia e intelligente Med che aveva lasciato spazio a quella debole, impreca.
“ Che c’è?” mi chiede guardandomi, probabilmente sorpreso che, per una volta, io abbia qualcosa da dire.
“Ecco, dunque... sai una cosa? Non fa niente. Non era importante.”
“ Sputa il rospo, Med” ride lui in silenzio e, con mio orrore, mi trovo a domandargli:
“ Se ti chiedo di restare prometti di non rinfacciarmelo?”
Lui mi fissa smarrito e sospetto si stia chiedendo se io abbia completamente perso il senno.
“ Resta...” ripeto, senza sollevare la testa.
Sono chiaramente posseduta.
“ Come?” domanda lui sempre più confuso e non posso biasimarlo.
Forse sono schizofrenica. Forse ho un disturbo da personalità multipla e quella incompetente di Jules non me lo ha diagnosticato.
“ Solo un po’…resti qui un po’?”
Ma cosa sto dicendo?! No, no, non restare. Lasciami qui da sola nella tua camera che sa di femmina.
Nei suoi occhi leggo incertezza e titubanza.
Siamo in due, fratello!
"Io? Vuoi che io resti qui? Non vuoi che ti chiami Bet?"
"Tu o un peluches senza un occhio sarebbe più o meno lo stesso. È la presenza che conta..."
"Ah, sì, così mi sento proprio amato e mi convinci senza dubbio."
"Dovresti sentirti lusingato anche solo da fatto che io te lo chieda e che ingoi il mio orgoglio..."
E ancora con i suoi silenzi carichi di tensione: mi guarda e mi contempla.
"Per favore..."
Le mie ultime parole sembrano convincerlo, perché torna verso di me. Io gli faccio spazio e lui si sdraia sopra la coperta. Si mette su un fianco e incrocia il mio sguardo.
Restiamo in silenzio e ,a quel punto, mi accorgo che una sola lacrima si è fatta un giro sulla mia guancia.
“ I tuoi occhi sono belli quando piangi” si lascia sfuggire Alex e poi si ferma, imbarazzato.
“ Anche i tuoi” rispondo stupidamente io per allentare la tensione e lui ride.
“Quanto sei stupida..."
“Non ne hai idea... “ bisbiglio io, continuando a fissare i suoi occhi. Sembra che abbiano un effetto calmante, perché ho l’impressione che la rabbia stia un po' scemando e che la stanchezza si stia, piano piano, diffondendo nelle mie vene. Forse è un altro potere dell'occhio bionico; o probabilmente sono solo stremata da tutto quello che mi ha attraversato la mente.
“ Cerca di dormire, così il tuo russare mi farà da ninna nanna” mi prende in giro lui e questa volta io rido e chiudo le palpebre.
Restiamo avvolti dal buio e dal silenzio. Poi lui mi chiama:
“ Ehi, Med?”
“ Mmmh?” mugolo io
“ Lo sai che te lo rinfaccerò, vero?” domanda, e nella sua voce riconosco un sorriso.
“ Lo so, Alex” dico, lasciando che gli angoli delle mie labbra guardino verso l’alto.
Poi, forse completamente impazzito, sfida la fortuna e mi accarezza i capelli: di norma gli avrei fatto uno strizzacapezzolo, ma la mia bisnonna diceva che bisogna sempre mostrare gratituidine. Io forse non lo so fare, ma posso almeno evitare di maltrattarlo per qualche ora, visto come sono andate le cose.
So bene che Alex non resterà. So che non sarà qui al mio risveglio. Ma non voglio che ci sia.
Ed è proprio questa consapevolezza che mi permette di abbandonarmi e di entrare nel mondo onirico.
“ Ma quanto sono teneri Haley e Nathan? Comunque io proprio non capisco come Lucas e Brooke possano lasciarsi dopo, si amano così tanto!” si lamenta Bet mentre spegne la tv.
“ Forse perché l’amore non basta?” chiedo stiracchiandomi prima di alzarmi in piedi e andare a caccia delle mie Silver.
“ Ma perché devi sempre essere cinica e distruttiva?” mi domanda lei con una nota di disappunto nella voce. Me lo dice sempre che sono fastidiosa, ma io non lo so controllare.
“ E’ la mia natura. Noi ragazze single e non desiderate cerchiamo sempre una giustificazione alla nostra solitudine” le sorrido infilandomi le scarpe.
“ Ok, me ne devo andare, L mi aspetta...” continuo legandomi i tristi capelli in una roba che chiamo coda. Lei mi guarda insicura e poi sospira, delusa.
“ Sì, lo so, lo so. Ma non tutte troviamo l’uomo della nostra vita a ventun' anni, Bet.” mi giustifico con un sorriso forzato e afferrando il cappotto.
“ Non ho detto niente. Va, divertiti, per quanto ci si possa divertire con L, e usa sempre il preservativo” mi raccomanda.
Io rido e, uscendo, dico: “ Ovviamente, il sesso sicuro al primo posto. E poi vorrei risparmiare al mondo la sua progenie!”.
Mentre cammino per strada osservo le persone che mi passano accanto. È buio e fa freddo ma, nonostante tutto, mi viene da sorridere.
È come se io avessi un passo molto più lento di tutto ciò e chi mi circonda. Come se avessi una visione privilegiata delle cose attorno a me in questo momento e fossi l’unica in grado di notare i particolari. Loro si muovono; guardano ma non vedono. La loro mente è troppo impegnata a pensare. Io invece, grazie al mio trucco di bloccare tutto fuori, non immagino nulla. Assorbo solo le informazioni che il mondo mi passa in questo istante.
E tutto ciò mi fa stare bene. È come se mi venisse offerta la possibilità di vivere per qualche secondo in una vita diversa da quella che devo imparare a gestire. Come se chi sono, cosa faccio e sento, in questo minuscolo frangente di tempo, non avesse alcuna importanza. L’unica cosa che conta è l’odore dell’aria, più pungente e più fresco del solito. I colori, rumori e movimenti del traffico, tanto banali da affascinare nella loro ripetitività. Le espressioni della gente sono quelle che mi vanno più sotto pelle.
Adoro immaginare o cercare di indovinarne i perché. Osservare il volto di un estraneo per una frazione di secondo e inventarne la vita. Fingere di sapere perché qualcuno sorride o perché ha l’aria di chi, come me, ha perso la chiave che apre il lucchetto della propria esistenza. C’è chi sembra felice, e di quella persona vorrei rubare il segreto, vorrei fermarla e chiedere come fa, implorarla di insegnarlo anche a me.
Chi fa di tutto per trattenere le lacrime, così sconfortato da farmi venire voglia di abbracciarlo. Chi controlla la rabbia e la frustrazione accumulate. Chi sogna senza fare a caso a dove va.
È bello vederli camminare nella vita, sopravvivere come si riesce, perché è questo che facciamo tutti. Cerchiamo la nostra verità; quella verità che permette di sopravvivere a modo nostro ed andare avanti.
Sono praticamente arrivata a destinazione, e mi viene da sorridere quando vedo due ragazzi che si baciano. Sono stretti l’uno all’altra, lui preme la schiena di lei contro la porta, mentre cerca di infilare alla cieca la chiave nella serratura, senza rompere mai il bacio. Continuo a guardarli, schiavi di chissà quale passione o voglia, mentre mi avvicino sempre di più. E quando ormai sono a una decina di passi da loro mi fermo.
Mi blocco e sento che le orecchie mi si tappano. Il mio sguardo fisso sulle spalle di lui. Di questo lui, che fa scorrere affamato le mani sulla lei senza volto. Ma lui un volto ce l’ha. Non ha bisogno di voltarsi e mostrarmelo. Conosco bene quella schiena, come conosco bene quel corpo.
E ancora meglio conosco quel giubbotto. Gliel’ho regalato io due Natali fa.
E in questo preciso istante mi rendo conto che quando le mie amiche hanno deciso di soprannominare questo ragazzo L, sono state anche troppo benevole.
Non so per quanto tempo resto ferma sull’altro lato della strada a fissarli. Nella mente mi scorrono mille immagini, nelle orecchie risuonano i te l’avevo detto di chi avrebbe tutto il diritto di dirmelo.
Vorrei urlare, ma le mie corde vocali sembrano non saper vibrare. E la cosa peggiore è che non posso urlare. Non posso picchiarlo. Non posso dirgli nulla. Ed è solo colpa mia.
Non ho nessun diritto come fidanzata. Perché non sono la sua fidanzata.
Sono solo un’amica con cui va a letto. Ed è colpa mia perché ho accettato questa condizione. Posso prendermela solo con me stessa se, adesso che lo vedo baciare un’altra, non ho diritto di spaccargli la faccia. I ruoli sono sempre stati chiari: il fatto che io fingessi di essere l’unica con cui stava, è esattamente il motivo per cui ora mi sento una lama nello stomaco.
Mi volto lentamente e ricomincio a camminare verso casa. Qualche metro più in là sento il rumore del portone che sbatte, indice del fatto che sono riusciti ad entrare, e penso che, tra poco, nel suo letto, al posto mio, ci sarà lei.
E per la mia stupidità, non ho voce in capitolo.
Mi muovo a rallentatore, cercando di prolungare la strada che mi ricondurrà al mio appartamento: sembro uno zombie mentre i miei piedi si spostano per inerzia.
E in questo momento, probabilmente, qualcuno che mi incrocia sul marciapiedi, sta facendo il mio stesso gioco. Sta cercando di immaginare perché sul mio viso è scolpita la faccia della delusione e della consapevolezza.
Mentre mi avvicino a casa inizia a piovigginare. Quella pioggia leggera e fastidiosa.
L’unica cosa che mi protegge è il sottile cappuccio della mia amata felpa verde, ma quella non può aiutare a riparare quel cuore e quell'orgoglio che hanno incassato l'ennesimo colpo. Non basterebbero mille felpe per custodire l'ultimo frammento di amor proprio che credevo di aver conservato: sono stata la carnefice di me stessa quando ho scelto che, stare male con lui, era meglio che stare male senza di lui. Ed ora che lo stare male con lui si è trasformato nello stare male con me stessa, rivoglio indietro il mio tempo; rivoglio la mia saggezza, rivoglio l'occasione di tornare indietro e decidere che no, io non sono una ragazza da scoparsi quando gira a lui. Non lo sono mai stata.
Salendo le scale cerco di capire quanto tempo sono rimasta fuori. Ma è inutile, non lo so quantificare.
Apro la porta di casa e mi accorgo che dentro è tutto spento: c’è solo tanto silenzio. Forse è tardi e dormono già tutti. Forse non sono ancora rientrati.
Non lo so e non mi importa.
Mi levo le scarpe e mi sdraio sul divano senza togliermi nemmeno i vestiti inzuppati. Non ne ho voglia. Non ne ho la forza. Mi alzo la coperta fino al mento e chiudo gli occhi.
Non voglio piangere perché sarebbe come regalargli quell'ultima oncia di me che ero riuscita a conservare, eppure gli occhi pizzicano in modo insopportabile: è forse delusione? O è semplice e banale dolore? Quel dolore degli innamorati di cui parlano sempre tutti.
L'amore è sofferenza, dicono. Beh, io questa sofferenza non la voglio. Non ho bisogno anche di questa. E poi quello che provo verso L non è amore.
E allora capisco che, forse, questo dolore non è per lui; è per me. Soffro per quello che ho fatto a me stessa per lui: ed è lì che tutto si trasforma in rabbia.
Stringo un pugno attorno alla trapunta e cerco di sfogare il rancore.
L’odio verso un ragazzo che non merita di sfiorare il mio dito mignolo.
L’ira verso me stessa e la mia stupidità.
Tra i miei pensieri confusi e la vista che comincia ad appannarsi di lacrime - che non voglio lasciar scorrere -, non mi accorgo nemmeno del rumore di una porta che si apre.
Poi una voce calda mi chiede “ Med?”
È Alex. No, cazzo, non Alex!
Io non mi volto. Resto ferma cercando di controllare il respiro e sperando che, per una volta, si faccia gli affari suoi e se ne vada; chiaramente non sono così fortunata.
“ Med, che ti è successo?” mi domanda appoggiandosi allo schienale del divano per essere più vicino. Io continuo a tacere e a respirare il più profondamente possibile per ricacciare le lacrime da dove sono venute.
Lui aggira il sofà e si accuccia di fronte a me.
“ Ti senti bene?” mi sussurra scostandomi una ciocca zuppa di pioggia dal viso.
“ Direi di no” bisbiglia fissandomi i capelli dietro l’orecchio e io tremo appena.
Oh, perché si allarga? Al momento la mia capacità di intavolare un battibecco con lui è andata a correre la maratona di New York. E il suo superpotere della lettura dell'anima, unito alle mie difese abbassate, sono un mix terribile.
Annullare la missione. Annullare la missione. Recuperare il controllo e rispedire demone dallo sguardo languido da dove è venuto.
Io lo guardo negli occhi ma non parlo. Gli arriva la mia richiesta di andarsene?
“ Bet ha detto che eri dal tuo amico non molto simpatico” dice piano. Io annuisco e i suoi occhi si muovono sul mio viso sempre più intensamente, cercando di leggermi dentro; ora però non ho davvero voglia di combattere.
“ Sei tutta bagnata, Scintilla. Non puoi dormire così.”
“ Perché no?” borbotto io, arricciando il naso e strofinando un polso su un occhio nella speranza di far passare il bruciore causato dalle lacrime che continuano a minacciare di cadere.
“ Perché mi inzupperai il divano” scherza lui “ e perché, se ti viene il raffreddore, russerai ancora più forte”
“ Ok.” rispondo senza pensare a ciò che dico e senza accennare il minimo movimento.
Mi sento come se qualcuno mi avesse staccato la spina e all'improvviso avessi perso la capacità di essere me stessa. Oppure adesso la solita me stessa si è stancata di proteggermi ed è andata a raggomitolarsi in un angolo pacifico di me, lasciando la parte più cretina di Med a gestire il tutto. Beh, questa Med sta fallendo su ogni fronte.
“ Che ne dici se stanotte il divano lo prendo io?” mi bisbiglia tenendo saldo il sorriso e alzandosi in piedi.
“ Io non voglio dormire sul pavimento!” ribatto, contemplando l'idea di un incontro ravvicinato con il mio parquet impolverato.
Lui trattiene una risata e risponde:
“ Non era esattamente quello a cui avevo pensato.”
“ Oh. E cosa avevi pensato tu?” chiedo tirando su col naso e cercando - con scarsi risultati - di mettermi a sedere in modo vagamente femminile.
“ Su, alzati.” mi dice prendendomi le mani e cercando di tirarmi, fingendo che il mio galattico culo non stia opponendo resistenza. Lo scruto qualche attimo e poi decido che non è carino da parte mia costringerlo ad alzare proprio tutto il mio peso e allora collaboro e lascio che mi aiuti a sollevarmi.
“ E ora?” domando confusa. Lui ride.
“ E ora vai in camera mia.” afferma lui indicandomi la sua porta.
“ Perché?”
“ Perché sì. Dai, scintilla, non fare tante storie.” e mi prende per un polso, conducendomi verso la stanza.
“ Alex…” sussurro quando siamo sulla soglia “ perché lo fai?”
“ Perché sì. Perché devi sempre fare tante storie? Sto cercando di essere una persona gentile, per una volta...” mi mormora, fermando una lacrima lungo il mio viso, con il pollice. E quella da dove è sbucata?
"Vorrai in cambio la mia anima, come minimo." protesto con voce asciutta e deglutendo a fatica. Forse ho mandato giù un po' di senso di colpa?
"Come si fa a farti smettere di protestare? C'è un modo? Non puoi semplicemente accettare l'offerta e basta?"
“ Ma tu non mi conosci, io sono un’estranea” dico confusa.
“ Sei anche la mia coinquilina” risponde lui sorridendo
“ E allora?”
“ Ma tu fai sempre tutte queste domande?” mi chiede ridendo.
“ Sì.” rilancio perdendomi nei suoi occhi.
Lui scuote la testa e mi spinge dentro la sua stanza, che profuma di qualche bizzarra spezia. Io lo lascio fare.
"Camera tua sa di femmina." constato voltandomi nella sua direzione e lui scoppia a ridere.
Ma che si ride sempre?
“ Dove sta quella cosa che usi per dormire e definisci vintage?”
“ Nel bagno.”
“ Vai a mettertelo...“ mi comanda dandomi le spalle e iniziando ad armeggiare con qualche cosa sul letto.
Vorrei dirgli che non accetto ordini dagli stronzi, ma in questo momento mostra accenni di umanità, invalidando il mio diritto alla scortesia, quindi faccio come dice, indossando il mio pezzo forte notturno - composto da un pantalone con fantasia militare, rigorosamente felpato, abbinato ad una casacca extra-large che reca la faccia di una mucca sul davanti e, lascio a voi intuire cosa, sul di dietro: però ha in più l'impareggiabile particolare della coda attaccata sul retro che si può muovere ed alzare. Pigiami così impazzavano negli anni '90: l'abbinamento con la parte inferiore, però, è tutta roba mia. Lo faccio per dare un tocco di personalità.
Nella vestizione non ho neppure acceso la luce e, velocemente, torno in camera di Alex, muovendomi nel buio. Sono Occhi di Gatto.
Quando entro nella stanza lui si volta verso di me e storce il naso non appena prende atto del mio outfit per la notte.
Medito di rispondergli per difendere il mio pigiamino ma, d'improvviso, mi torna in mente l'immagine di L con quella ragazza e Alex e la sua opinione sul mio guardaroba tornano ad essere irrilevanti.
Sento gli occhi ricominciare a pizzicare e temo che questa volta non riuscirò a fermare quelle sciocche lacrimucce.
“ Che strano, sembri quasi piccola in questo momento” mi dice lui sorridendo.
“ Sei uno stronzo” rilancio avvicinandomi al letto.
“ E tu sei una ragazza molto scurrile” il suo sorriso si fa più grande mentre mi scosta il piumone per farmi entrare.
Io mi raggomitolo sul materasso e mi copro in fretta. Appoggio la testa sul cuscino, lui mi fa l’occhiolino e si dirige verso l’uscita.
“ Alex..” lo fermo io e la saggia e intelligente Med che aveva lasciato spazio a quella debole, impreca.
“ Che c’è?” mi chiede guardandomi, probabilmente sorpreso che, per una volta, io abbia qualcosa da dire.
“Ecco, dunque... sai una cosa? Non fa niente. Non era importante.”
“ Sputa il rospo, Med” ride lui in silenzio e, con mio orrore, mi trovo a domandargli:
“ Se ti chiedo di restare prometti di non rinfacciarmelo?”
Lui mi fissa smarrito e sospetto si stia chiedendo se io abbia completamente perso il senno.
“ Resta...” ripeto, senza sollevare la testa.
Sono chiaramente posseduta.
“ Come?” domanda lui sempre più confuso e non posso biasimarlo.
Forse sono schizofrenica. Forse ho un disturbo da personalità multipla e quella incompetente di Jules non me lo ha diagnosticato.
“ Solo un po’…resti qui un po’?”
Ma cosa sto dicendo?! No, no, non restare. Lasciami qui da sola nella tua camera che sa di femmina.
Nei suoi occhi leggo incertezza e titubanza.
Siamo in due, fratello!
"Io? Vuoi che io resti qui? Non vuoi che ti chiami Bet?"
"Tu o un peluches senza un occhio sarebbe più o meno lo stesso. È la presenza che conta..."
"Ah, sì, così mi sento proprio amato e mi convinci senza dubbio."
"Dovresti sentirti lusingato anche solo da fatto che io te lo chieda e che ingoi il mio orgoglio..."
E ancora con i suoi silenzi carichi di tensione: mi guarda e mi contempla.
"Per favore..."
Le mie ultime parole sembrano convincerlo, perché torna verso di me. Io gli faccio spazio e lui si sdraia sopra la coperta. Si mette su un fianco e incrocia il mio sguardo.
Restiamo in silenzio e ,a quel punto, mi accorgo che una sola lacrima si è fatta un giro sulla mia guancia.
“ I tuoi occhi sono belli quando piangi” si lascia sfuggire Alex e poi si ferma, imbarazzato.
“ Anche i tuoi” rispondo stupidamente io per allentare la tensione e lui ride.
“Quanto sei stupida..."
“Non ne hai idea... “ bisbiglio io, continuando a fissare i suoi occhi. Sembra che abbiano un effetto calmante, perché ho l’impressione che la rabbia stia un po' scemando e che la stanchezza si stia, piano piano, diffondendo nelle mie vene. Forse è un altro potere dell'occhio bionico; o probabilmente sono solo stremata da tutto quello che mi ha attraversato la mente.
“ Cerca di dormire, così il tuo russare mi farà da ninna nanna” mi prende in giro lui e questa volta io rido e chiudo le palpebre.
Restiamo avvolti dal buio e dal silenzio. Poi lui mi chiama:
“ Ehi, Med?”
“ Mmmh?” mugolo io
“ Lo sai che te lo rinfaccerò, vero?” domanda, e nella sua voce riconosco un sorriso.
“ Lo so, Alex” dico, lasciando che gli angoli delle mie labbra guardino verso l’alto.
Poi, forse completamente impazzito, sfida la fortuna e mi accarezza i capelli: di norma gli avrei fatto uno strizzacapezzolo, ma la mia bisnonna diceva che bisogna sempre mostrare gratituidine. Io forse non lo so fare, ma posso almeno evitare di maltrattarlo per qualche ora, visto come sono andate le cose.
So bene che Alex non resterà. So che non sarà qui al mio risveglio. Ma non voglio che ci sia.
Ed è proprio questa consapevolezza che mi permette di abbandonarmi e di entrare nel mondo onirico.
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